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Le paroline canaglia.
Started By
Rudy
, 15 May 2010 - 08:11:53
Questa discussione ha avuto 28 risposte
#21
Inviato 21 May 2010 - 00:16:58
Ok...quindi sintetizzando:
Li=pronome pers. maschile plurale, è riferito a cosa o persona.
esempi: io li dirò (a loro); li faccio questo favore (a loro); li accompagnerò domani (a loro)
Gli=pronome pers. maschile sing di terza persona.
Si usa come complimento di termine.
Esempi: gli parlerò domani (a lui); gli voglio bene (a lui); gli comprerò un libro (a lui)
Gli=articolo determ. maschile plurale.
Si usa davanti a parole m. pl. che cominciano per vocale, gn , ps , s , x e z .
Esempi: gli gnocchi; gli psicologi; gli spietati; gli xenotrapianti; gli zingari; gli zuccheri.
cosa mi sfugge?
#22
Inviato 21 May 2010 - 07:36:13
CRISTY, su 21-May-2010 02:16, dice:
Ok...quindi sintetizzando:
Li=pronome pers. maschile plurale, è riferito a cosa o persona.
esempi: io li dirò (a loro); li faccio questo favore (a loro); li accompagnerò domani (a loro)
Gli=pronome pers. maschile sing di terza persona.
Si usa come complimento di termine.
Esempi: gli parlerò domani (a lui); gli voglio bene (a lui); gli comprerò un libro (a lui)
Gli=articolo determ. maschile plurale.
Si usa davanti a parole m. pl. che cominciano per vocale, gn , ps , s , x e z .
Esempi: gli gnocchi; gli psicologi; gli spietati; gli xenotrapianti; gli zingari; gli zuccheri.
cosa mi sfugge?
Li=pronome pers. maschile plurale, è riferito a cosa o persona.
esempi: io li dirò (a loro); li faccio questo favore (a loro); li accompagnerò domani (a loro)
Gli=pronome pers. maschile sing di terza persona.
Si usa come complimento di termine.
Esempi: gli parlerò domani (a lui); gli voglio bene (a lui); gli comprerò un libro (a lui)
Gli=articolo determ. maschile plurale.
Si usa davanti a parole m. pl. che cominciano per vocale, gn , ps , s , x e z .
Esempi: gli gnocchi; gli psicologi; gli spietati; gli xenotrapianti; gli zingari; gli zuccheri.
cosa mi sfugge?
Quasi tutto giusto! Ti sfugge solo qualcosa riguardo a "li".
È pronome personale maschile plurale; ma ti sfugge che si usa come complemento oggetto; cioè quando è l' oggetto dell' azione descritta dal verbo.
Se io dico: "porta questi regali a Giorgio", i regali sono l' oggetto e Giorgio è il termine dell' azione. Qui posso dire: "pòrtali a Giorgio" (li plurale complemento oggetto), oppure "portagli questi regali" (gli singolare complemento di termine).
Vogliamo complicare ulteriormente? Se sappiamo già dal contesto che si parla di Giorgio e dei regali, posso anche dire, in una sola parola: "pòrtaglieli". "Glieli" è quella forma pronominale complessa che comprende sia "gli" che "li".
Quindi, dei tuoi esempi riguardo a "li", i primi due non sono corretti; il terzo sí.
È corretto:
1. "io dirò a loro" oppure "io dirò loro", perché questi di cui si parla sono il termine, non l' oggetto. In questo caso l' oggetto sarebbe ciò che a loro devi dire.
2. "faccio questo favore a loro" oppure "faccio loro questo favore", perché loro sono il termine, mentre l' oggetto del verbo qui è il favore.
3. "li accompagnerò domani" è giusto, perché loro sono l' oggetto della frase in questo caso.
Per tutto il resto, complimenti!
e se non piangi, di che pianger suoli?
#24
Inviato 05 July 2010 - 13:51:58
Dopo una pausa alquanto lunga (ed intensa), penso di riprendere in mano l' argomento con una nuova sventagliata di paroline canaglia. Vedo che fin qui hanno suscitato notevole e vivo interesse; forse perché si tratta di quei "dettagli" apparentemente facili, che ci fanno scoprire e capire i meccanismi piú profondi di una lingua.
Riprendiamo dal gruppo dei NE.
NE.
1. "Ne" è una particella pronominale che si può riferire ad elementi sia maschili che femminili, sia singolari che plurali: insomma una tuttofare. Può essere usata "al posto di" e "col significato di":
a) di lui, di lei, di loro,
b) di questo, di quello, di questa, di quella, di questi, di quelli, di queste, di quelle,
c) di ciò,
d) da questo o da ciò.
Può essere sia proclitica che enclitica, ossia può stare sia prima che dopo il verbo della frase ("ne parliamo" o "parliàmone". Se sta dopo, si attacca al verbo e può formare gruppo con altri pronomi; quando sta in gruppo, viene dopo tutti gli altri ( "pòrtacene ", "fregàndosene ").
Questa particella è atona; ossia non ha accento. Per l' accentazione si comporta come se fosse un prolungamento della parola che viene prima o di quella che viene dopo.
Davanti a vocale si può elidere la "e" ( "non ve n' abbiate a male").
Esempi:
a) "sono bravi ragazzi e ne apprezziamo i meriti" (= di loro)
"è una brava ragazza; tutti ne parlano bene" (= di lei)
"come sta il tuo amico? Pàrlamene , dai" (= di lui)
b)"mi ha fatto uno scherzo, ma se n' è già pentito" (= di questo)
"che bei fiori! Raccògline qualcuno!" (= di quelli)
"un po' di tè? No, grazie, ne ho ancora" (= di questo)
"è una brutta storia e io non ne voglio sapere" (= di questa)
"préstamene ancora un paio" (= di quelli).
Può essere pleonastica, cioè ripetitiva dello stesso concetto, con valore enfatico.
Esempi:
"ne ha di coraggio!" vuol dire: se parliamo di coraggio, lui ne ha (= di quello)
"ma quante ne dice di bugie!" è come dire: se parliamo di bugie, lui ne dice un bel po' (=di quelle)
Si può usare anche in espressioni "ellittiche". E qui non sto a spiegare quale preciso concetto esprima il "ne" nella frasi seguenti; ma se qualcuno vuole, accetti la sfida e si cimenti nella spiegazione.
Esempi:
"ne ho sentite e viste di belle"
" me ne ha fatte di tutti i colori"
"glie ne ha date di santa ragione"
"gliene ho dette un sacco"
"chi piú ne ha, piú ne metta"
Altri esempi:
c) "non ne vedo la necessità" (= di ciò)
"se ne riparlerà domani" (= di ciò)
"cercheremo di farne a meno" (= di ciò)
"me ne rincresce" (= di ciò)
d) "ne consegue che avete tutti torto" (= da ciò)
"ne verrebbe un grosso danno" (= da ciò)
"non se ne può trarre altra conclusione" (= da ciò)
2. "Ne" è un avverbio che indica allontanamento da un luogo, oppure, in senso figurato, da una situazione, da uno stato, da una condizione, ecc.
Il suo significato è : di lí, di là, di qui, di qua, ovvero da lí, da là, da qui, da qua.
Anche questo può stare sia prima che dopo il verbo.
Esempi:
"ne vengo ora" (= da lí)
"me ne vado subito" (= da qui)
"non riesco piú ad uscirne " (= da questa situazione)
"è una brutta faccenda, ma vorrei venirnne fuori con onore" (dalla faccenda)
Può essere usato anche in modo pleonastico, solo per sottolineare il concetto che qualcuno sta o indugia in un determinato posto.
"se ne veniva bel bello" (= da qualche parte: anche se non sappiamo da dove, l' importante in questo caso è l' atteggiamento della persona)
"Come puoi startene lí seduto senza far niente? (= lí dove sei. In questo caso, ripetere inutilmente il concetto serve a sottolineare che la persona perde tempo inutilmente)
"Te ne stai sempre tutto solo" (come sopra)
"Non le dispiacque, ma sí se ne rise" (Dante descrive la sua donna felice nel paradiso).
3. "Ne" è un pronome personale di prima persona plurale, usato nella lingua antica.
a) come complemento oggetto. Al suo posto, nella lingua moderna si usa "ci"; ma è ancora molto usato in diversi dialetti.
Ad esempio nel Veneto: "I ne ga visto" = ci hanno visti.
Esempi: "andiam, ché la via lunga ne sospigne". (Dante: mettiamoci in cammino, perché c' è una lunga strada che "ci" sprona).
b) come complemento di termine. Sta al posto di "a noi"
Es. "Se da le proprie mani questo n' avvene" (Petrarca: se ciò viene fatto "a noi", dalle nostre stesse mani".
4. "Ne" è un' altra forma, usata soprattutto nella lingua antica, della preposizione "in". Ma rimane molto viva anche nella lingua moderna, questa preposizione si fonde con gli articoli determinativi, formando le preposizioni articolate.
nel (= ne + il = in + il)
nella (= ne + la = in + la)
nello (= ne + lo = in + lo)
nei (= ne + i = in + i)
nelle (= ne + le = in + le)
negli (= ne + gli = in + gli)
e anche nelli (= ne + li = in + li)
quest' ultimo non piú usato.
Nell' uso letterario e poetico i due termini si trovano spesso anche in forma staccata.
"l' amico mio, e non de la ventura,
ne la diserta piaggia è impedito
sí nel cammin, ché vòlt' è per paura"
scriveva Dante, che come abbiamo già visto, parlava spesso come Cristy, la quale invece è convinta di sbagliare.
"Ne" si usa ancora in questa forma quando si citano titoli di opere letterarie, poetiche, teatrali, film, commedie, opere liriche , ecc, che comincino con l' articolo.
Esempi: "questo lo trovi ne "I promessi Sposi"" (anziché nei Promessi Sposi)
"I personaggi che incontri ne "La Traviata"" (anziché nella Traviata)
"La dottrina contenuta ne "Le confessioni" di Sant' Agostino" (anziché nelle Confessioni).
"Il concetto di quiete ne "L' infinito" di Leopardi" (anziché nell' Infinito)
Questo si fa per rispettare l' integrità del titolo, col suo articolo specifico.
5. "Ne' " con l' apostrofo, è una forma abbreviata della preposizione articolata "nei", che abbiamo visto poco sopra. Nell' uso letterario e poetico si può spesso trovare ne' al posto di nei.
"ne' tuoi occhi veggo il cielo"
"ne' vostri cuori la pace"
"ne' tuoi pensieri abbimi con te"
"acciò che tu per inanzi ne' nostri servigii e nelle virtuose opere prenda migliore speranza" scriveva Giovanni Boccaccio.
6. "Né" con l' accento acuto è una congiunzione con funzione negativa
a) serve a negare in modo coordinato due o piú elementi nella frase; va ripetuta davanti a ciascuno.
Esempi:
"non ho visto né Carlo, né Maria"
"non lo vogliamo né io, né lui"
"né l' uno, né l' altro lo vuole ammettere"
"non mi ha detto né sí, né no"
"non riesce a dormire né di giorno, né di notte"
"è scacco matto quando l' avversario non può né spostare il re, né parare, né catturare il pezzo"
"non mi fa né caldo, né freddo" (= non me ne importa niente)
"né del vulgo mi cal, né di fortuna" (Petrarca).
b) col significato di "e non" coordina due o piú proposizioni negative.
"non mi ha scritto, né mi ha telefonato"
oppure, in modo rafforzativo: "né mi ha scritto, né mi ha telefonato"
"non posso aiutarti, né darti un consiglio"
c) Nella lingua classica si ha un uso di stampo un po' piú antico;
- col significato di "e non" coordina una proposizione positiva ed una negativa:
"ha deciso cosí, né io posso ostacolarlo"
"sempre sospira; né d' altro parla che di morire" (Metastasio)
- All' inizio di una frase, con funzione negativa.
"Né piú mai toccherò le sacre sponde
ove il mio corpo fanciulletto giacque" (Foscolo)
- Oppure con valore rafforzativo di un "non".
"I' son fatta da Dio, sua mercé, tale,
che la vostra miseria non mi tange,
né fiamma d' esto incendio non m' assale. (Dante)
- O infine col significato di "neanche", "neppure" o "nemmeno"
"se la donna s' affligge e si lamenta,
né di Ruggier la mente è piú quieta" (Ariosto)
7. Per ultimo ricordiamo che la congiunzione né preposta all' altra congiunzione anche, dà luogo a neanche, usata come avverbio o come congiunzione negativa rafforzata.
Anche di questa non mancano versioni antiche (né anche, neanco, né anco)
Per i vari usi di neanche, provate a consultare per vostro conto lo strumento fondamentale della lingua: il Dizionario.
Poi, per pura curiosità, possiamo anche consultare le voci: neppure e nemmeno, o nemmanco.
e se non piangi, di che pianger suoli?
#25
Inviato 06 July 2010 - 18:31:27
Mettici gli equivalenti in rumeno almeno capiscono!! buhuahauau!
la particella pronominale "ne" può essere equiparata ad un partitivo rumeno.
ex. quante arance vuoi? ne voglio due
cate portocale vrei? vreau doua din astea!
o come pronome "tout curt"
ex.chi corre dietro a due lepri non ne prende manco una
cine alearga dupa doi iepuri nu prinde nici unul.
ex. è un uomo buono e ne apprezzo le qualità
e un om bun si ii apreciez calitatile
ex. gli ho promesso che gliene avrei date due
i-am promis ca-i voi da doua din astea
ex. hai parlato dell'affidamento dei bambini? ne parleremo domani
ai vorbit despre tutela copiilor? o sa vorbim maine de asta.
ex. sei stato al cinema? me ne torno or ora
ai fost la film? chiar acum ma intorc de acolo
#26
Inviato 07 July 2010 - 11:45:17
marcuzzzo, su 6-Jul-2010 20:31, dice:
Mettici gli equivalenti in rumeno almeno capiscono!! buhuahauau!
Grazie Marcuzzo per gli esempi in romeno. Veramente molto utili.
Io non li metto per diversi motivi:
1. Il primo e fondamentale è che non conosco bene il romeno come te.
2. Non tutti qui sono di cultura romena; molti hanno una cultura russa.
3. Io sono convinto che il modo piú avanzato per imparare una lingua sia studiarla da quella stessa lingua; non traducendo sempre dalla lingua madre.
4. Sotto sotto io scrivo anche per gli italiani come me, che non conoscono né il romeno, né il russo, e spesso e volentieri non hanno mai avuto modo di soffermarsi nemmeno sui dettagli della grammatica italiana, neppure a scuola. Sappiamo bene come funzionano le scuole oggi.
Non vorrei che questa sezione fosse intesa come un corso di lingua per moldavi e romeni. Dovrebbe rimanere un luogo dove si discutono alcuni aspetti banali, elementari, o anche complessi, della lingua italiana.
Molti particolari che descriviamo possono risultare interessanti e addirittura sorprendenti anche per gli stessi italiani.
Grazie comunque, di nuovo, per gli esempi. Mettine pure piú che puoi.
e se non piangi, di che pianger suoli?
#27
Inviato 07 July 2010 - 18:46:50
O sa mai pun exemplele din astea
Ne metterò altri di esempi.
Comunque la mia intenzione era di fare un parallelismo perché molto spesso, sia i tempi verbali,sia i pronomi che noi utilizziamo in italiano non coincidono con il romeno,nonostante l'enorme vicinanza tra le due lingue.
Una cosa ti posso dire: dal mio punto di vista i problemi maggiori per un moldavo che si avvicina allo studio della lingua italiana riguardano l'utilizzo delle doppie (anche se non esiste una regola specifica in questo caso), e l'uso del periodo ipotetico.
Insisti soprattutto su quest'ultimo perché mentre noi abbiniamo un tempo al congiuntivo impefetto o presente (possibilità/impossibilità) e un condizionale, nella lingua rumena si utilizza sempre il condizionale sia nella proposizione principale,sia nella subordinata.
#28
Inviato 07 July 2010 - 22:22:35
marcuzzzo, su 7-Jul-2010 20:46, dice:
Comunque la mia intenzione era di fare un parallelismo perché molto spesso, sia i tempi verbali,sia i pronomi che noi utilizziamo in italiano non coincidono con il romeno,nonostante l'enorme vicinanza tra le due lingue.
Una cosa ti posso dire: dal mio punto di vista i problemi maggiori per un moldavo che si avvicina allo studio della lingua italiana riguardano l'utilizzo delle doppie (anche se non esiste una regola specifica in questo caso), e l'uso del periodo ipotetico.
Insisti soprattutto su quest'ultimo perché mentre noi abbiniamo un tempo al congiuntivo impefetto o presente (possibilità/impossibilità) e un condizionale, nella lingua rumena si utilizza sempre il condizionale sia nella proposizione principale,sia nella subordinata.
I parallelismi col romeno vanno benissimo. Chi piú ne ha, piú ne metta.
La questione delle doppie l' abbiamo già sfiorata e, come hai ben detto tu, si è giunti alla presa d' atto che non ci sono regole da seguire. Quello che serve per le doppie (o singole) è esercitarsi molto e cercare sempre di imparare le parole già con le loro caratteristiche (doppie, accenti, ecc.).
Questo vale ovviamente anche per la questione accenti acuti o gravi delle vocali "e" ed "o", che pure non ha regole specifiche.
Per le doppie ricordiamo comunque che anche molti italiani trovano spesso difficoltà sull' argomento. Alcuni per scarsa preparazione, altri per le tendenze dialettali. Qualcuno tende a non metterle mai (Veneti). Qualcun altro a metterle anche quando non vanno messe (Sardi).
Per quanto riguarda i tempi e modi dei verbi... Eh, questo è un grande tema, veramente vastissimo. Lo affronteremo sicuramente. Mi riservo di prenderlo in mano quando avrò un po' piú di tempo da dedicarci. Allora, dietro tuo consiglio, terremo presente in particolare la correlazione fra i modi congiuntivo e condizionale. Ma poi va sottolineato che anche in questo caso occorre abituarsi a sentirli e ad usarli.
Inutile aggiungere che pure su questo tema molti italiani trovano grosse difficoltà. Numerosi personaggi, anche fra quelli che vanno in televisione, sono famosi per non azzeccare mai i modi dei verbi; in particolare proprio i congiuntivi e i condizionali.
Quindi non bisogna demoralizzarsi. Anche se si commette qualche errore, teniamo sempre presente che c' è di peggio in Italia.
Infine vorrei far presente che quando metto tutte le varianti linguistiche antiche, non lo faccio per una pignoleria inutile; ma anzi le metto appositamente perché lo ritengo un esercizio utilissimo, per vari motivi.
1. Studiando le varianti più antiche si capisce meglio come si è formata ed evoluta la lingua.
2. Chi vuole puntare a conoscere molto bene l' Italiano, prima o poi dovrà leggere i poeti, o comunque i classici. Chi arriva ad un certo livello sente anche il desiderio di elevare un po' la propria cultura letteraria. Tutti i classici usano varianti linguistiche piú o meno "antiche". Siccome non capita mai di sentire certi termini nella lingua di tutti i giorni, leggendo qui, si potrà dire di averli sentiti almeno una volta.
3. I termini piú antichi sono quasi sempre i piú fedeli agli originali latini. Piú si risale all' indietro nel tempo, piú l' italiano si avvicina al latino. Ma questo succede anche per il romeno. Quindi è probabile che si trovino molte piú somiglianze ed identità fra le due lingue, quanto piú analizziamo le versioni antiche. È un modo per collegare meglio fra loro le due lingue.
Credo sia più facile imparare termini ed espressioni italiane, quando ti rendi conto che derivano da altre, identiche o molto simili a quelle che si usano, o si usavano, in romeno. È come una gradita sorpresa: colpisce di piú e si ricorda meglio.
e se non piangi, di che pianger suoli?
#29
Inviato 06 August 2010 - 11:00:22
Altro gruppo di paroline da studiare attentamente è quello dei se.
Chi volesse studiare ciò che segue nel dettaglio, si accorgerà che questo gruppo presenta pure un bel po' di complicazioni.
SE.
Iniziamo da un se che è quasi una curiosità storica, prima di passare al secondo, che invece è di larghissima utilizzazione nella lingua corrente e presenta una gamma vasta e complessa di sfumature d' uso.
1. "Se" è una congiunzione che deriva dal latino sic, la stessa da cui derivano anche cosí e sí, inteso come "da" in romeno. Però a questo significato si sovrappone molto quello dell' altro se che vedremo al numero 2., complicandone parecchio la comprensione, anche per molti Italiani di oggi. Si trova ormai solo nella lingua classica e letteraria. Introduce una frase con valore:
a) "augurale" (un augurio rivolto a qualcuno).
b) "ottativo", cioè che esprime un desiderio; (nella coniugazione dei verbi greci esisteva persino il modo ottativo, tanto per complicare la vita agli studenti).
c) "deprecativo". Non è una brutta parola, eh? Significa soltanto pregare perché una brutta situazione o un male che affligge qualcuno abbia termine. Insomma sempre di un augurio si tratta.
Potremmo anche sostituirlo con una locuzione come "voglia il cielo che", "volesse Iddio che", "cosí voglia il destino"
Esempi:
"deh, se Iddio ti dea buona ventura, ... diccelo come tu le guadagnasti". (Boccaccio).
"E se tu mai nel dolce mondo regge,
dimmi: perché quel popolo è sí empio
incontr' a' miei in ciascuna sua legge?"
Cosí si rivolge Farinata degli Uberti a Dante; e pochi versi piú avanti Dante gli ribatte:
"Deh, se riposi mai vostra semenza,-
prega' io lui,- solvetemi quel nodo
che qui ha 'nviluppata mia sentenza."
2. Venendo alla lingua d' oggi, "se" è una congiunzione che introduce il periodo ipotetico, oltre ad una discreta serie di altre costruzioni che vanno studiate con attenzione e che vedremo qui di seguito.
ATTENZIONE ! Nella lingua classica o elegante se può perdere la "e" e sostituirla con l' apostrofo.
Es.: "s' Affrica pianse, Italia non ne rise" (Petrarca).
In questo caso la "s' " che proviene da se è uguale a quella che si ottiene da si. Le due "s' " con l' apostrofo si usano in modi differenti; quindi è raro il caso di confusione; ma è da notare che la forma è identica.
A. Il Periodo Ipotetico. Il vero regno dove il se impera. Si tratta della principale congiunzione usata per introdurre questo tipo di costruzione logica, formata da due frasi tra loro subordinate. Il suo significato è: "posto che, nel caso, nell' eventualità che". Ricordiamo che esistono due tipi di periodo ipotetico: quello "semplice", coi due verbi al modo indicativo (Es. "se tu lo desideri, lo faremo") e quello piú complesso, classico o piú propriamente ipotetico; che dei due verbi ne ha uno al congiuntivo e l' altro al condizionale (Es. se mi avessero avvertito, mi sarei sbrigato prima").
Credo che per chiarezza e praticità dovremo dedicare a questo argomento almeno un intero articolo, data la sua importanza, soprattutto per chi, imparando una nuova lingua, deve anche apprendere l' uso del modo condizionale.
Oltre ad introdurre il periodo ipotetico, questo "se" ha molti altri usi:
- Si usa per delle esclamazioni in forma "retorica", utilizzando solo una parte del periodo ipotetico e lasciando l' altra sottintesa.
Es.: se voi sapeste!; se tu vedessi com' è bello!; ma se tutti lo sanno!; ma se l' ho visto con i miei occhi!; se succede un' altra volta!...; se ti prendo!...
- in alcune espressioni incidentali (quelle che si definiscono un po' come delle "frasi fatte"), con valore attenuativo, deprecativo, di modestia o di cortesia, ecc.
Es.: cascasse il mondo se non è vero!; non lo venderei neanche se lo pagassero a peso d' oro; non voglio perdonarlo, nemmeno se mi prega in ginocchio; domani, se non sbaglio, è la tua festa; se ben ricordo, c' eri anche tu; voi, se ho ben capito, ci potreste aiutare; è anche un po' colpa sua, se proprio vogliamo dire la verità; se Dio vuole, siamo arrivati; cosí è, se vi pare.
- seguito dalla negazione, se non significa "eccetto, tranne che".
Es.: non puoi fare altro se non ubbidire; liberi non sarem se non siam uni (Manzoni); non ho parlato se non con lui; non ho chiamato se non perché temevo di disturbare.
- col valore di "poiché, dato che, dal momento che".
Es: se ti ha detto cosí, non c' è piú niente da fare; se sei stato tu, perché non l' hai detto?
- col valore di "quand' anche, ammesso che" (in una frase di tipo concessivo).
Es.: se anche lo volessi, non potrei piú modificare nulla; questo è ciò che dice, se pure è vero; non lo vorrei neanche se me lo regalasse.
- nella locuzione come se, col significato di "quasi, nella maniera di"
Es.: si comporta come se fosse il padrone; se l' è presa con me come se la colpa fosse mia; fai come se niente fosse.
In questo significato anche con parte della frase sottintesa per esprimere sdegno o rammarico.
Es.: come se non lo conoscessimo bene!; come se fosse facile parlargli!; come se me ne importasse di lei!.
- può introdurre una frase dubitativa (esprime un dubbio riguardo ad una situazione, oppure un dubbio fra piú elementi).
Es: vedi se puoi aiutarmi; cerca se ti è possibile di fare in tempo; vedi in libreria se sono arrivate le dispense; prova a vedere se ce la fai o no; vedrò se sia il caso di aiutarlo, o se sia meglio che si arrangi; "tu sola sai se è vero o no che credo in Dio" (Mogol);
- può introdurre una frase interrogativa indiretta (un modo per chiedere senza farlo direttamente, cioè tramite qualcun altro o semplicemente esprimendo i propri dubbi)
Es.: non so se potrò partire; dimmi se intendi continuare cosí; domandagli se accetta o no; voglio sapere se davvero ha queste intenzioni; non so se prendere o lasciare;
Anche senza il verbo.
Es.: chiedigli quando è in casa, se al mattino o al pomeriggio; dimmi cosa scegli, se la montagna o la crociera;
In alcune frasi esclamative o interrogative senza la frase principale, ma dandosi la risposta.
Es.: se sono stanco?, sicuramente!, se ho detto tutto quello che sapevo?, certo!; se ha pazienza?, moltissima; se è ricco?, altro che!.
- può avere anche il significato di "come, quanto".
Es.: tu sai se mi è piaciuto farlo!; altro che se ce ne vogliono di soldi!; puoi immaginare se io ci sia rimasto male!.
B.. Questo "se", sempre lui, viene usato pure come sostantivo.
Se vogliamo parlare difficile, si utilizza una figura retorica detta "sineddoche", identificando la semplice parolina "se" come se rappresentasse tutta una frase dubitativa, ovvero il dubbio per "antonomasia" (altra figura retorica).
Il "se" come sostantivo quindi è quasi la personificazione del dubbio, del condizionamento o dell' indecisione, e significa appunto, esitazione, incertezza, dubbio.
Es.: è tutto a posto, c' è un ultimo se; accetto la proposta, ma ho un solo se; con tutti i suoi se non conclude nulla; tu sei l' uomo dei se e dei ma; siamo contrari alle dittature, senza se e senza ma.
È da notare che questo “se" , come il precedente del punto 1. è atono, ossia si pronuncia senza accento, come se fosse un prolungamento di una parola vicina; ma in quest' ultimo significato B., diventando un sostantivo, aquista una sua fisionomia, può trovarsi anche da solo e quindi per forza di cose prende l' accento nella pronuncia.
Sempre riguardo alla pronuncia, tutti i "se" visti finora hanno la "e" chiusa o dolce (quella che si scrive come "é", simile a perché)
Infine, questo "se" si unisce ad altre congiunzioni o avverbi, formando "sebbene", "seppure", "semmai", "sennò", "sennonché",
3. Quest' altro "se" è un pronome personale di terza persona, sia maschile che femminile, sia singolare che plurale. Anche questo è atono, non ha quindi accento ed è la forma che il pronome si assume davanti a questi altri pronomi atoni: la, le, li, lo ed alla particella ne che pure abbiamo visto in precedenza. In pratica il pronome si, che vedremo alla prossima puntata, quando sta davanti a "la, le, li, lo o ne", cambia la vocale e diventa questo se che vediamo ora.
- Può essere usato come complemento di termine, col significato di "a sé", dove il "sé" con l' accento è quello che vedremo tra breve al punto 4. .
Es.: "se la trovò davanti"; "se lo sono promesso a vicenda"; "se li sono lasciati sfuggire".
- Con valore pleonastico; cioè come una specie di particella inutile dal punto di vista grammaticale; ma si usa dire cosí.
Es.: "se lo bevve tutto"; "se la spassa allegramente"; "se l' è vista brutta"; "conviene darsela a gambe"; non se n' è accorto nessuno"; "lo vidi andarsene senza salutare"; "credo che se la sia dimenticata".
- Nei classici, il pronome "si" può avere questa forma se anche quando non è seguito da "la, le , li, lo o ne". Ciò avviene anche in numerosi dialetti: ad esempio il Romano ed il Veneto.
Es.: "vostra vista in lui non po' fermarse" (Petrarca).
4. "Sé" con l' accento acuto è un pronome personale di terza persona, sia maschile che femminile, sia singolare che plurale.
- Questo è un pronome riflessivo; ovvero indica le persone (familiarmente anche gli animali o le cose) cui si riferisce il soggetto stesso della frase e si usa al posto di "lui", "lei", "loro" nei vari complementi.
Es.: "parlare di sé"; "non sono soddisfatte di sé"; "pensano solo a sé"; "lo ha tirato a sé con forza": "lo allontanarono da sé"; "porta sempre l' ombrello con sé"; "se lo tiene tutto per sé"; "custodire in sé un segreto"; "i bambini vogliono tutto per sé"; "sentiva ancora il ricordo dentro di sé"; "ha ancora molto tempo davanti a sé"; "dietro di sé lasciò un grande rimpianto".
Questo pronome, come molti altri, e forse anche piú di altri, viene spesso rafforzato aggiungendo un ulteriore pronome: "stesso, stessa, stesse, stessi" o "medesimo, medesima, medesime, medesimi".
ATTENZIONE ! all' accento parlato: Questo "sé" si scrive con l' accento, perché a differenza dei precedenti, è tonico, ossia si pronuncia in modo accentato all' interno della frase; ma la pronuncia della vocale "e" è sempre chiusa, come nella parola "perché".
Molti Italiani, soprattutto del nord, pronunciano questo "sé" erroneamente, come se la "e" fosse aperta, cioè come se fosse scritto "sè". In realtà la corretta pronuncia della "e", quella toscana, è la stessa che troviamo nei "se" precedenti. L' unica differenza, ripetiamo, è che questo "sé" è accentato nella pronuncia e nello scritto.
ATTENZIONE ! all' accento scritto: La regola del buon scrivere in Italiano, prevede che per le parole brevi (le paroline canaglia) si usi l' accento scritto quando due di esse possano essere confuse. In tal caso, una si scrive con l' accento, l' altra senza. Questo "sé" si scrive con l' accento per distinguerlo dai precedenti; ma qui arriva la complicazione. Quando è seguito da "stesso, stessa, stesse, stessi" non esiste il rischio di confusione; siamo sicuri che si tratta del pronome e quindi molti autori (la maggioranza !!) scrivono il "sé" pronome senza accento quando è seguito da "stesso, ecc.". In tal modo la grafia ritorna ad essere identica ai "se" congiunzione che abbiamo visto prima. Tale regola in realtà non è molto utile; anzi genera solo confusione; perciò alcuni autori scrivono "sé" con l' accento anche davanti a "stesso, ecc."
Es.: " si preoccupano solo di se stessi"; "lo fanno per se medesimi".
- Vi sono numerosi modi di dire che utilizzano questo "sé".
Es.: "essere pieno di sé"; "essere chiusi in sé"; "tenere qualcosa per sé"; "dentro di sé", "Fra sé e sé"; "essere in sé, non essere in sé"; "uscire o essere fuori di sé"; "rientrare in sé"; "da sé, lui fa da sé"; "si è fatto da sé"; "farsi giustizia da sé"; "lo sa da sé"; "la cosa procede da sé"; "va da sé"; "una cosa a sé"; "formare un gruppo a sé"; "questo è un caso a sé"; "di per sé"; "in se stesso"; "in sé e per sé"; "di per se stesso".
- Si usa anche come complemento oggetto al posto del pronome atono "si", per dare maggiore risalto o enfasi all' oggetto. In questo caso è spesso seguito da "stesso, medesimo, ecc.".
Es.: "cerca di scusare sé e incolpa gli altri"; "per non danneggiare sé, non si è fatto scrupoli"; "sta tentando di migliorare se stesso"; "vorrebbero convincere se stessi".
- come il precedente "se", anche questo può essere usato, molto raramente come sostantivo. In questo caso indica la propria coscienza, il proprio essere piú intimo.
Es.: si illudeva nel suo sé di riuscire.
5. Esiste anche un "se' " con l' apostrofo.
Nella lingua antica e nei classici della poesia, la voce "tu sei" del verbo essere, poteva a volte essere soggetta ad elisione della vocale "i".
Es.:
"Tu se' lo mio maestro e 'l mio autore;
tu se' solo colui da cu' io tolsi
lo bello stilo che m' ha fatto onore." (Dante).
ATTENZIONE !: questo se' con l' apostrofo, quasi introvabile nella lingua italiana, è l' unico che si pronuncia con la vocale "e" aperta, come per il verbo "è", oppure il "tè", inteso come bevanda.
e se non piangi, di che pianger suoli?
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