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La criminalità dell'ex Urss è un arcipelago pieno di misteri.


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Questa discussione ha avuto 2 risposte

#1 Tati

Tati

    MI

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    - Mediatore Interculturale e religioso. Volontaria UNICEF.
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    Medaglie


Inviato 06 April 2009 - 22:28:55


La criminalità dell'ex Urss è un arcipelago pieno di misteri.

Roberto Saviano lo ha indagato con l'aiuto di un infiltrato speciale
Il ragazzo guerriero della mafia siberiana.

di ROBERTO SAVIANO


Quando ero ragazzino scrissi un racconto metafisico e surrealista e lo inviai a Goffredo Fofi. Dopo qualche giorno mi arrivò un foglio di poche righe in una busta di carta riciclata: "Mi piace come scrivi, peccato che scrivi idiozie, ho visto da dove mi hai spedito la lettera. Affacciati alla finestra e raccontami cosa vedi, scendi giù, attraversa cosa vedi. Poi rispediscimi tutto, e ne riparliamo". Da allora affacciarsi e attraversare le cose mi sembrò l'unico modo per poter scrivere parole degne di essere lette.
Nicolai Lilin (guarda il suo sito) non ha fatto altro che affacciarsi, fuori dalla casa in cui è nato, dentro la sua stessa vita e raccontare ciò che ha visto, sentito, il mondo in cui è stato educato. E lo ha fatto in un libro, Educazione Siberiana. Un romanzo come se ne leggono pochi, che racconta di un mondo scomparso, quello degli Urka siberiani, la comunità di criminali deportata da Stalin al confine con l'attuale Moldavia, in una terra di nessuno che è la Transnistria.

Ho incontrato Lilin nella stanza anonima di un hotel milanese. Corpo minuto ma tonico, viso slavo, colori chiari, occhi luminosi. Parla un italiano preciso, impastato con una cadenza slava unita a un accento piemontese. Quando si infervora gli esce un "Dio bono" che lo rende divertente. Lilin è un discendente degli Urka siberiani con un intercalare sabaudo e racconta proprio di gente come lui, gli ultimi discendenti di questa stirpe guerriera, uomini che usano definirsi "criminali onesti" atavici nemici dei "criminali disonesti". "Volevo raccontare storie che rischiavano di perdersi, che conoscono in pochi, e renderle storie di molti. Le storie della mia gente, distrutta dal capitalismo di oggi, gente che aveva regole sacre, che viveva con dei valori". Per leggere questo libro bisogna prepararsi a dimenticare le categorie di bene e di male così come le percepiamo, lasciar perdere i sentimenti come li abbiamo costruiti dentro la nostra anima. Bisogna star lì: leggere e basta.

Così dopo un po', intorno alle pagine di Educazione Siberiana, inizierà a materializzarsi un intero mondo. Sembrerà lontanissimo, altro, ma bevuto tutto lascerà un gusto in cui si ritrovano in forma diversa molti sapori simili al nostro mondo e questo genererà un brivido difficile da dimenticare. Non ci si aspetti un libro sulla mafia russa, né un trattato sul crimine, né alleanze tra clan, imperi economici, faide e sparatorie. È il contrario. È un romanzo che racconta di un popolo scomparso, di una tradizione guerriera che Nicolai conservava dentro di sé e che non riusciva più a tacere. Continuamente lui usa la parola "onesto", e continuamente ripete il termine "disonesto". Può apparire strano che parlando di una comunità criminale si parli di onestà; noi abbiamo imparato a dimenticare che un codice etico condiviso possa esistere anche al di fuori della società civile.

Tra gli Urka non si stupra, non si fanno estorsioni, non si fa usura. Si può rapinare e uccidere, ma solo in presenza di un valido motivo. Si può truffare, ma solo lo stato e i ricchi. E ci sono anche regole pratiche da osservare: le armi per la caccia, per esempio, non devono essere messe accanto alle armi che servono per uccidere esseri umani. E quando un'arma tocca l'altra per purificarla bisogna avvolgerla in un panno con liquido amniotico, il liquido della vita. Seppellire il tutto e dopo un po' arriva la purificazione. È assolutamente vietato agli uomini parlare con le forze dell'ordine. In Educazione Siberiana ci sono pagine di arresti e retate in cui la polizia non riesce a rivolgere la parola a nessun siberiano. Ogni Urka ha sempre al proprio fianco una donna che faccia da tramite. Lilin racconta che dalle sue parti si dice che chi non ha voglia di lavorare e non ha il coraggio di delinquere fa il poliziotto. Nelle comunità criminali degli Urka, diversamente da quanto accade in Italia, esistono regole talmente forti da fermare il business, vincolare il potere.

Sono regole che seppur calate in un contesto discutibile hanno profonde radici morali. In Italia, fino a qualche decennio fa, per le mafie regole come non uccidere bambini, non trattare e vendere droga, non assumerne, ora sistematicamente disattese, nascevano dalla necessità di cercare quel consenso nella popolazione che adesso appare dovuto, che ora sono il timore e la forza ad assicurare. "Non è il crimine la nostra forza - diceva il nonno a Nicolai - ma il consenso ed il bene che la gente ci vuole". Lilin precisa: "Sono regole di giustizia non scritte, come la divisione equa dei beni, l'aiuto reciproco e la difesa dei più deboli". E continua con una nota autoironica che aggiunge credibilità al suo racconto: "Se nasci in quella realtà non puoi certo divenire Ghandi ma almeno vivi un una società che ha regole e diritti, non solo soprusi dove vince il più corrotto e il più forte come tra i lupi".

E gli anziani nel romanzo hanno un ruolo centrale. Non sono solo i depositari delle tradizioni, ma tramandano di generazione in generazione le storie più avvincenti di rapine e di sfide. Indirizzano le nuove generazioni anche sul modo di trattare il denaro. I soldi fanno schifo ai siberiani, la considerano roba sporca. "Mio nonno in tutta la sua vita non ha mai portato soldi addosso, li tenevano in posti lontani dai luoghi della vita. I soldi sono sempre stati considerati sporchi". E le figure di questi anziani nel libro sono davvero meravigliosamente epiche. A tratti si avverte, e Nicolai conferma, che il libro è passato a vaglio dell'attento lavoro degli editor pur conservando, a volte, delle asperità, dei punti dove la lingua inciampa; ed è proprio lì che lo stile ibrido di un uomo che pensa in siberiano e scrive in italiano, lo stile personalissimo che gli scrittori migranti elaborano, esce in tutta la sua pura ingenuità e bellezza. Lilin costruisce un mondo con la sua scrittura e questo fa di lui non un semplice testimone ma uno scrittore vero e proprio.

A volte viene da pensare, ascoltando Nicolai, che serbi una visione mitizzata degli Urka, parola che a chiunque abbia letto i libri di Solgenicyn, Herling o Salamov sui gulag ricorda invece il peggior incubo per i detenuti normali: stupro, furto, percosse. Eppure il mondo che Lilin racconta sembra essere un altro, sembra partire da premesse differenti offrendo la possibilità di osservare quel mondo da una prospettiva inedita. Essere un Urka, racconta Lilin, era un marchio che ti portavi dietro ovunque: "Quando ero piccolo e uscii dalla Moldavia con mia madre, alla dogana un ufficiale vide che ero nato in Transnistria e, seppure fossi un bambino, mi fissò negli occhi e disse, 'Delinquente!!!'. Bastava venire da lì". Eppure c'è nel codice degli Urka siberiani l'assoluta necessità di dire sempre la verità. La menzogna è punita. "Devi essere vero, sempre e comunque devi essere vero. Mi hanno insegnato a dire la verità sempre. Spesso i poliziotti russi quando arrestavano degli Urka li riprendevano mentre li interrogavano. Quando dicevano sei un criminale loro dovevano rispondere si, se rispondevano no era una condanna a morte tra tutti gli Urka. Un Urka non mente mai". Anche quando la verità significa una condanna alla galera.

Nicolai Lilin si riconosce assolutamente nella tradizione degli Urka: "Sono un criminale onesto" dice, contrapponendo un mondo ormai tramontato, che cerca di far rivivere attraverso il suo racconto, alla Russia di oggi, completamente allo sbando. "Nelle mie zone tutti chiedono il pizzo, per qualsiasi cosa bisogna pagare. È lecito aspettarsi una richiesta di tangente per documenti, viaggi, permessi, per tutto ciò che nel mondo occidentale, in un mondo che si dice civile, dovrebbe essere dovuto". Nicolai è grato all'Italia, o almeno alla parte d'Italia dove lui vive, e nel suo discorso è possibile rintracciare anche quanto relativo sia il concetto di diritto. "Qui puoi avere un documento senza pagare tangenti, qui se vieni derubato puoi sporgere regolare denuncia, e sai che ci sarà qualcuno ad ascoltarti, a difenderti, a far valere i tuoi diritti di cittadino. In Russia e in Moldavia tutto è corruzione, politica, burocrazia, tanta prostituzione, racket, droga. Paesi marci. Mio nonno diceva spesso: credo che non esista né inferno né paradiso, semplicemente se ti comporti male rinasci in Russia".

Nessun urka siberiano vorrebbe essere chiamato mafioso. La mafia russa è una categoria generica, enorme, quasi inesistente. Ci sono le famiglie di Mosca, quelle di San Pietroburgo, la mala cecena e quella georgiana potentissima in Usa, poi ci sono le famiglie dell'Azerbaigian. I siberiani non si riconoscono in nessuna di queste organizzazioni, non sentono neanche di essere gang, clan o organizzazioni. Il loro codice di vita è la loro casa. "Una volta mio nonno mi ha raccontato che fu arrestato un pedofilo, uno di quelli a cui piacevano molto le bambine piccole e anche i bambini. Gli Urka quando fu arrestato lo trattarono con rispetto. Andarono da lui, gli diedero una corda fatta con le lenzuola e gli dissero: 'Hai cinque ore per impiccarti, se non lo fai ognuno di noi prenderà un pezzo di te e lo strapperà"".

Una delle parti più belle del libro è il racconto dei tatuaggi. Il tatuaggio è un codice per raccontare il carattere di una persona e il percorso della sua vita, il tatuaggio degli urka siberiani è un'eredità antica che viene da molto lontano. Il tatuaggio tradizionale siberiano è un codice segreto, nato in epoca pre-russa e pre-cristiana. I primi briganti nomadi della foresta, gli Efei, si tatuavano per potersi riconoscere, lungo le grandi strade della Siberia dove assaltavano i convogli provenienti dalla Cina e dall'India. I tatuaggi quindi erano un modo per non farsi assalire da "colleghi", e un modo muto per rendersi fratelli. Quando si diffuse il Cristianesimo, il tatuaggio criminale siberiano adottò i simboli della nuova religione: gli Efei si confondevano così con i pellegrini, che erano poveri e, non potendo acquistare croci, catene e immagini sacre, se le tatuavano. Con la formazione dello stato russo, lo Zar decise di sbarazzarsi degli Efei; ma i più irriducibili di loro, gli Urka, ostili a qualsiasi potere, si rifugiarono nella Taiga dove organizzarono una dura resistenza che fu spezzata soltanto dopo secoli, dai comunisti. Nel libro sono meravigliose le pagine dove Lilin racconta come il tatuatore sia una figura speciale, quasi un sacerdote. Per i siberiani puoi diventare tatuatore solo su autorizzazione di un anziano maestro; Lilin scelse all'età di 12 anni di divenire allievo del più esperto della sua città. Era bravo a disegnare, i suoi disegni venivano richiesti per farne tatuaggi, ma aveva bisogno di imparare l'antica arte del tatuaggio tradizionale, eseguito a mano con le bacchette, non con la macchinetta elettrica. A 18 anni, ultimato l'apprendistato, il suo maestro lo nominò tatuatore.

Un corpo siberiano tatuato è un libro misterioso, che pochi sanno leggere: i singoli simboli assumono un preciso significato solo se messi in relazione tra loro, nelle rispettive posizioni. "Si tratta di una grande tradizione, - dice Nicolai - alla quale sono orgoglioso di appartenere". Per un siberiano il tatuaggio è un processo lungo che dura tutta una vita. Iniziano a tatuarsi all'età di dodici anni e soltanto dopo aver passato una vita, con tutto ciò che può essere a vita di un Urka, la loro storia potrà essere letta sui loro corpi. Schiena e petto sono tatuate solo alla fine, dopo i cinquant'anni.

Nicolai è completamente rivestito di tatuaggi. Imprudentemente gli chiedo di raccontarli e ottengo una risposta che non mi aspetto. "Raccontare i tatuaggi è disonesto. I tatuaggi sono un linguaggio muto, ci si tatua proprio per evitare di parlare. Solo un siberiano può capire. Chi racconta uccide la tradizione, e rischia di essere ucciso". Il tatuaggio siberiano è divenuto quasi un tatuaggio pop e il cinema ha cercato di raccontarlo, ma Nicolai è molto scettico: "Il film di Cronenberg ("La promessa dell'assassino", ndr) è tutta una farsa. Il tatuaggio siberiano è morto con i siberiani. È una menzogna, dal film sembra quasi che tutti gli affiliati russi si tatuino, ma non è così. Quei tatuaggi li hanno solo alcuni, come per esempio Seme Nero". Seme Nero è un clan che si tatua ma è un gruppo che vive in carcere. Non possono avere rapporti sessuali, non possono avere famiglia, quando escono dalla galera fanno di tutto per rientrarci. Sono cosche di criminali spesso create dalla polizia per controllare le carceri, criminali comuni entrano in Seme Nero e divengono come una casta che governa in cella su tutti. Ma queste storie che rimbalzano intorno al libro di Lilin sono satelliti rispetto al suo obiettivo, quello di raccontare la palestra, la tana delle tigri siberiane in cui viene a formarsi un giovane Urka, stirpe estinta di antico guerriero.

L'educazione siberiana è un'educazione antica quasi sciamanica, disciplinata. Chiedo a Nicolai della morte, che per tutto il libro è sempre vista come una compagna di vita, come qualcosa che sta lì pronta ad aspettarti né terribile né amica. C'è e basta. "Io ho ucciso Roberto, ho ucciso un bel po' di persone. Ma non sento dolore, o meglio sento che ero costretto a farlo, ero un militare in Cecenia, e dovevo sparare. Ho ucciso e ho sentito la morte tante volte vicina a me. Ma anche su questo la mia gente mi ha insegnato a capire la morte, a conoscerla e a non sentirla come qualcosa di strano. Qui nessuno vuole morire. Io se voglio la vita so che devo volere anche la morte". Gli chiedo se ora vuol solo fare lo scrittore e vuole smettere di tatuare. "Mi sono un po' stancato. Continuare a raccontare storie con le parole mi piacerebbe di più che continuare a bucare pelle...".

Me ne vado con la certezza che il racconto e la memoria possono salvare un mondo e permettere di mappare una sorta di percorso che pericolosamente ci dice: il peggio è ancora da venire e laddove si perdono le regole si perde tutto ma, come scrive Lilin, il motto degli Urka siberiani è ancora vivo: "C'è chi la vita la gode, chi la subisce, noi la combattiamo".
© 2009 by Roberto Saviano
Published by arrangement with Roberto Santachiara Literary Agency

(3 aprile 2009)
Nicolai Lilin: l’eresia criminale siberiana
Scritto il 06/4/09
http://www.nicolaililin.com/



Un grande fiume russo, un quartiere siberiano e un impero, quello sovietico, ormai in agonia. E’ lo scenario nel quale Nicolai Lilin ambienta la narrazione autobiografica di “Educazione Siberiana”, straordinario romanzo d’esordio articolato in racconti, che Einaudi si appresta a ridistribuire nelle librerie dopo il bruciante “sold out” delle prime 24 ore, nelle quali il libro è andato esaurito anche grazie alla dirompente presentazione di Roberto Saviano su “Repubblica” il 3 aprile. L’autore del bestseller “Gomorra” ha scommesso sul giovane narratore russo: non solo un grande testimone, ma anche uno scrittore vero, che sa usare un linguaggio speciale per costruire un mondo.
http://www.libreidee.../nicolai-lilin/




Educazione Siberiana, nelle librerie dal 3 aprile
Scritto il 01/4/09
Esce il 3 aprile nelle librerie italiane “Educazione Siberiana”, di Nicolai Lilin, romanzo autobiografico articolato in racconti, di cui è protagonista l’autore, allora minorenne, coi suoi giovanissimi compagni d’avventura. Libro d’esordio edito da Einaudi, rievoca i passaggi cruciali di un’adolescenza pericolosa, vissuta al crepuscolo dell’Urss nel ghetto criminale della Transnistria, tra Moldavia e Ucraina, dove negli anni ‘30 Stalin deportò gli irriducibili fuorilegge siberiani, discendenti degli Urka, leggendari briganti della Taiga.

Nel quartiere siberiano di Bender, sul fiume Dnestr a pochi chilometri da Odessa, Nicolai è cresciuto alla scuola degli ultimi “nonni”, assimilando la legge non scritta che faceva di un adolescente un “criminale onesto”, distaccato dal denaro e pronto a rispettare gli anziani e difendere i deboli, donne e bambini, mostrando addirittura una venerazione per i disabili, definiti “voluti da Dio” e protetti dall’intera comunità. Tutto ciò in una terra di nessuno governata dai fuorilegge, tra compassati veterani, ex galeotti e giovani gangster spietati, disposti a farsi largo a colpi di Kalashnikov, infrangendo le antiche regole.

«Ho voluto raccontare un mondo che non esiste più - ammette Nicolai - e che già allora, negli ultimi anni dell’Urss, stava scomparendo. Era un mondo sorretto a modo suo da un codice etico: la polizia era il nemico, ma era espressione di un regime autoritario il cui emblema era il Kgb». Nelle pagine di “Educazione Siberiana”, il racconto della movimentata adolescenza vissuta nel quartiere Fiume Basso di Bender - tra gang rivali, scontri, arresti, carcere minorile - si riverbera il caleidoscopio multietnico dell’impero sovietico, osservato dal punto di vista della “comunità criminale”. Russi, ucraini, siberiani, ebrei, armeni e georgiani si contendono il controllo della città, fra traffici e rapine, parlando in Fenia, antico gergo dei fuorilegge, e senza mai violare i sacri codici: niente droga e niente estorsioni.

Un grande affresco, che Nicolai Lilin, 28 anni, ha scritto direttamente in italiano, cioè nella lingua del paese dove si è trasferito cinque anni fa e dove conduce l’attività di tatuatore. All’arte del tatuaggio tradizionale siberiano, eseguito a mano con le bacchette, fu iniziato da un “kol’shik”, un tatuatore criminale, personaggio sciamanico delle prigioni dell’Urss, rispettato dai detenuti e chiamato ad aggiornare, con tatuaggi simbolici, la mappa cifrata della biografia segreta dei fuorilegge.

La collaborazione con “Libre”, che oggi affianca Nicolai nel suo esordio letterario, è cominciata nel 2005, quando l’associazione culturale torinese era impegnata nell’allestimento dello spettacolo teatrale “AK, il Canto dei Catari” diretto da Franco Collimato per le Olimpiadi della Cultura Torino 2006, con la partecipazione di Eugenio Allegri, Cochi Ponzoni, la cantante Antonella Ruggiero e lo scrittore Maurizio Maggiani. Nello spettacolo, che tentava un parallelo tra le stragi della Crociata Albigese contro l’eresia càtara e i sanguinosi assedi dell’ultima guerra civile jugoslava, Nicolai ha trasferito la sua drammarica esperienza diretta: reclutato dall’esercito russo, ha combattuto due anni in Cecenia, nei paracadutisti.

La Cecenia, di cui “Educazione Siberiana” lascia intravvedere il peso emotivo, sarà oggetto di futuro lavoro editoriale. Il sorprendente libro d’esordio, intanto, rivela soprattutto due cose: la grande verve di un giovane autore originalissimo, che ha saputo trasferire sulla carta la naturale vocazione russa alla narrazione orale, e il mondo perduto della Transnistria al crepuscolo dell’Urss, regolato dalla violenza ma bilanciato da una forte componente etica. Un mondo sconcertante, mai prima raccontato. E non privo di meraviglie, agli occhi di un adolescente: il rito solenne del Cifìr (il tè dei fuorilegge), gli anziani padrini che allevano colombi, il culto delle armi, i “santi” dediti all’assistenza dei detenuti e il grandioso paesaggio del fiume, paradiso inziatico per giovanissimi pescatori e formidabili nuotatori.

“Educazione Siberiana”, ai cui fortissimi tratti drammatici l’autore non manca di aggiungere la giusta dose di autoironia, sostenendo sempre la narrazione con ritmo mirabile, senza pause, e arricchendola con sapienti digressioni sulle vicende picaresche dei memorabili personaggi nei quali s’imbatte, è una straordinaria epopea “criminale” fatta di epica quotidiana, che offre al tempo stesso un grande affresco antropologico dell’era sovietica, i cui bassifondi diventano un punto di osservazione perfetto per scandagliare cinquant’anni di storia, tra giapponesi e cosacchi, nazisti, guerra fredda, gangster ebrei e intellettuali perseguitati, Gulag e uomini straordinari che - scegliendo la via dei fuorilegge - resistettero alla dittatura.
http://www.libreidee...e-dal-3-aprile/

Nicolai Lilin su RaiDue, ospite di Daria Bignardi
Scritto il 02/4/09

«Sono cresciuto a Bender, in Transnistria, nel sud dell’Unione Sovietica, lungo il fiume Dnestr. All’epoca la Transnistria era chiamata “la seconda Siberia”, vista l’alta concentrazione di siberiani, deportati da Stalin negli anni ‘30». Licolai Lilin, giovane autore di “Educazione Siberiana” (Einaudi) sarà ospite il 3 aprile di Daria Bignardi nella trasmissione “L’era glaciale”, su RaiDue in seconda serata. Il programma si prepara a mandare in onda frammenti del video realizzato da Libre sullo scrittore, che illustra la sua attività principale: quella di tatuatore.

«Il tatuaggio tradizionale - racconta Nicolai nel filmato, realizzato da Gilberto Richiero con Stefano Fusaro e Dmitrij Verjbizky - era un codice riservato ai fuorilegge: soltanto loro potevano “interpretare” un corpo leggendo sulla pelle la storia di un’intera vita». Un codice antico, pre-russo, risalente al popolo siberiano degli Efei: nomadi che, dopo l’avvento deltratto da: "Siberian criminal style" cristianesimo in Russia, si mescolarono ai pellegrini per meglio vivere di furti e razzie. «Non avendo denaro per comprare monili, catene e croci, i simboli della nuova religione se li tatuarono sulla pelle: in questo modo, madonne, chiese e crocifissi entrarono nell’iconografia del tatuaggio siberiano».

«Quando lo Zar decise di sgominare gli Efei reclutandone una parte nelle proprie truppe, i banditi più irriducibili, gli Urka, ostili a qualsiasi autorità, si diedero alla macchia». Nacquero così i leggendari briganti della Taiga, che resistettero a lungo nella foresta, fino all’avvento del regime sovietico. «Furono devastati interi villaggi, gli uomini fucilati, donne e bambini deportati. Trascinarono i siberiani nell’estremo sud, in Transnistria, sperando di spezzarne la resistenza. Invece, così facendo, permisero alla comunità siberiana di restare unita. E di fondare, lungo il Dnestr, una potentissima casta di fuorilegge».

E’ questo il background di Nicolai Lilin, che ispira le pagine più dense di “Educazione Siberiana”, titolo attesissimo nelle librerie dal 3 aprile. Il volume, autobiografico, rievoca il periodo dell’adolescenza in quelli che furono gli ultimi anni dell’Urss e anche della comunità siberiana. Nella quale il tatuaggio, un’arte a cui Nicolai fu inziato da un maestro, occupava un ruolo totemico e sacrale. Al punto che, ancora oggi, è impossibile “tradurre” il codice dei segni tatuati sulla pelle: «Non potrei mai rivelarne il significato, a nessuno», spiega Nicolai, che - pur scrivendone un intero romanzo - si è ben guardato dal fornire facili chiavi di accesso ad un mondo iniziatico, riservato a chi, nell’era sovietica, scelse la vita del fuorilegge per opporsi a modo suo alla dittatura.
http://www.libreidee...daria-bignardi/



Educazione Siberiana, record: libro già esaurito
Scritto il 05/4/09

Esordio col botto per “Educazione Siberiana” (Einaudi), romanzo di Nicolai Lilin sulla sua spericolata adolescenza nella “comunità criminale” di Bender, nell’ex Urss. Il libro, presentato in anteprima da Roberto Saviano su “Repubblica” il 3 aprile, è andato esaurito nelle prime ventiquattr’ore: le librerie italiane hanno venduto subito le iniziali 28.000 copie distribuite, prendendo in contropiede persino l’editore. E’ la prima volta che un autore esordiente riscuote in Italia un successo così fulmineo. Il libro, di cui è stata avviata la prima ristampa, tornerà comunque in libreria la prossima settimana.

La generosa presentazione di Saviano, in prima pagina su “Repubblica” e con ampia “lenzuolata” distribuita su tre pagine interne, ha sicuramente garantito un impatto mediatico formidabile a un libro che promette di avere le carte in regola per rivelarsi un caso editoriale italiano. Anomalo e fortissimo il contenuto: il disvelamento di un mondo mai prima raccontato dall’interno, quello della criminalità sovietica di marca siberiana vissuto e osservato dal punto di vista di un giovane, educato a diventare un “criminale onesto”, con un preciso codice etico.

Notevole anche il riscontro ottenuto attraverso la partecipazione, sempre il 3 aprile, alla trasmissione-culto “L’era Glaciale” condotta da Daria Bignardi su RaiDue, che ha anche trasmesso il filmato realizzato da Libre su Nicolai Lilin e il tatuaggio tradizionale dei fuorilegge della Taiga. Per Lilin è stato l’esordio televisivo: un’ottima prova, affrontata senza imbarazzi e con un linguaggio sincero e diretto, che ha calamitato l’attenzione del pubblico.

E mentre svariate testate cominceranno ad occuparsi di “Educazione Siberiana” e del suo autore, che nel frattempo il 4 aprile ha letto una pagina de “Nove racconti” di Salinger al reading collettivo alla Cavallerizza Reale di Torino organizzato da Einaudi nel decennale della scomparsa del fondatore, del nuovo fenomeno editoriale italiano si stanno interessando altre testate televisive. «Lilin è uno scrittore vero - anticipa Saviano - perché attraverso il suo linguaggio riesce a ricostruire un mondo».

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#2 vidra

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Inviato 07 April 2009 - 06:06:56


TATI  QUANTO  TI  HANNO  PAGATO  PER  FARE  LA  PUBLICITA  A  QUESTO  LIBRO  PIENO DI  IDIOZIE?



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"Uno schiavo che non ha coscienza di essere schiavo e che non fa nulla per liberarsi, è veramente uno schiavo. Ma uno schiavo che ha coscienza di essere schiavo e che lotta per liberarsi già non è più schiavo, ma uomo libero" (Vladimir Ilich Uljanov - detto Lenin)

#3 Carlo

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    Medaglie



Inviato 09 April 2009 - 14:04:05


Visualizza messaggiovidra, su 7-Apr-2009 08:06, dice:

TATI  QUANTO  TI  HANNO  PAGATO  PER  FARE  LA  PUBLICITA  A  QUESTO  LIBRO  PIENO DI  IDIOZIE?

Ricordati che questa è la tua opinione...nessuno ha la verità...
Anche quando Aleksandr Isaevic Solgenitsin scriveva  "Una giornata di Ivan Denissovic" o "Arcipelago Gulag" dicevano quello che dici tu..
Siamo solo daccordo in una cosa: Nicolai Lilin non è Solgenitsin.







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