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Dal Nord-Est all'estero, in fuga già 720 aziende


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Inviato 18 May 2012 - 18:22:47


Dal Nord-Est all'estero, in fuga già 720 aziende  



    Mariano Maugeri

PADOVA. Dal nostro inviato
   Addio, Italia ingrata. Oltre alla fuga dei cervelli, ci toccherà fare   l'abitudine alla migrazione degli imprenditori. Le notizie che arrivano   dal laboratorio Nord-Est non sono per nulla incoraggianti.
   Nel 2011, nel bel mezzo dello psicodramma che spingerà il governo   Berlusconi a passare la mano ai tecnici, centinaia di imprenditori hanno   fatto le valigie, chiuso definitivamente le loro fabbriche e trasferito   le attività imprenditoriali oltre confine. I sintomi covavano già da un   paio di anni. Ma fino al 2010 nessun imprenditore ha avuto il coraggio   di lasciare il suolo italico. Una sorta di attesa carica di ansia che ha   attraversato l'ultimo scorcio del 2008 e i due anni seguenti.
   Nella primavera del 2009, il presidente degli industriali di Vicenza,   Roberto Zuccato paventava il rischio per nulla remoto di un crash down   dell'economia vicentina. E usava la metafora aeronautica per rendere più   comprensibile il problema: «Tra due mesi i serbatoi saranno a secco e   l'aereo nordestino spancerà sul primo fazzoletto utile di terra».   Sappiamo com'è andata: una resistenza a oltranza, sempre sulla lama del   rasoio dei fidi bancari che si restringono, le commesse che si ritirano,   le previsioni di una ripresa che slittano di sei mesi in sei mesi.
     Spiega Daniele Marini, sociologo dell'università di Padova e direttore   della Fondazione Nord Est: «Gli imprenditori hanno avvertito una grande   solitudine. E 720 di loro, già internazionalizzati e con una dimensione   aziendale sopra la soglia dei 10 addetti, nel corso del 2011 hanno   deciso di trasferire le aziende all'estero. L'ho chiamata se-cessione,   nel doppio significato di secedere, cioè separarsi, e cedere al   desiderio di chiudere anche mentalmente con l'Italia». Settecentoventi   su uno stock di 726mila imprese del Nord-Est (comprese quelle del   primario e del terziario). Quisquilie si dirà. In fondo, si registra uno   scostamento minimo, dallo 0,0 allo 0,1 per cento. Si tratta però di   imprese manifatturiere competitive e internazionalizzate. In una parola,   a più alto valore aggiunto. E resta da capire quanti imprenditori   faranno la stessa scelta nel 2012.
   Marini argomenta questa scelta nel libro "Innovatori di Confine", appena   pubblicato da Marsilio: «A fronte di un ambiente istituzionale   sostanzialmente statico, dove cioè le riforme auspicate non prendono   corpo, la pubblica amministrazione non si ammoderna, il livello di   tassazione rimane inalterato, le precondizioni favorevoli alla vita di   un'impresa si riducono a tal punto da suggerire ad alcune di collocarsi   in altri Paesi dove l'ambiente fiscale e amministrativo permette loro di   rimanere competitive».
   È come se improvvisamente il giocattolo si fosse rotto, incrinando gli   stessi elementi costitutivi dell'economia veneta: il capitale sociale   prima di tutto, fondato sulla triade famiglia, capitale, lavoro. Spiega   Marini: «La crisi ha modificato il Dna del Nord-Est. Una società che   ripone nel lavoro la sua identità, oggi si trova a considerarlo come un   assillo. Le famiglie, peraltro parsimoniose e fortemente orientate al   risparmio, temono di non aver risorse disponibili per affrontare un così   lungo periodo recessivo».
   Tutto ciò accade nell'area che fino a poco meno di una decina di anni fa vantava la piena occupazione.
     La sofferenza che emerge dalla base sociale e produttiva si salda poi   alle questioni di natura strutturale che stanno particolarmente a cuore   agli imprenditori. Marini fa una comparazione tra Nord-Est e Baden   Württemberg, due regioni europee simili per composizione delle imprese,   occupazione e valore aggiunto. La differenza abissale è nelle risorse   concentrate in ricerca & sviluppo. Nel settore pubblico ammontano a   1.363 milioni nel Baden Württemberg e 315 milioni nel Nord-Est, un   quarto del valore tedesco. Idem per gli investimenti nello stesso   settore delle imprese private: 12.474 nella regione tedesca contro 1.072   del Triveneto, con un rapporto di 12 a 1 che spiega meglio di tante   parole dove si annidi il divario tra le due economie.
   La sommatoria di tutti questi elementi delinea il quadro che ha indotto gli imprenditori "secessionisti" a mollare gli ormeggi.



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