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Mediatori Interculturali


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Questa discussione ha avuto 4 risposte

#1 Guest_Azzurro_*

Guest_Azzurro_*
  • Ospite

Inviato 24 May 2008 - 09:53:41


Mediatori interculturali, ecco la piattaforma  


Il nuovo sindacato del Sei Ugl traccia i punti da seguire in direzione di una futura proposta di legge


Roma – 22 maggio 2008 - In occasione della prima riunione del Coordinamento nazionale del Sindacato dei Mediatori interculturali del Sei Ugl è stata lanciata la piattaforma volta a ottenere il riconoscimento a pieno titolo della figura del mediatore interculturale.

“In questa prima fase – spiega Klodiana Cuka, una delle coordinatrici del sindacato – ci occupiamo di coinvolgere più persone possibile. Siamo aperti a ogni collaborazione di studiosi, accademici e soprattutto mediatori interculturali in opera o aspiranti tali che si stanno formando. La piattaforma è costituita dal documento programmatico che spiega la nascita del sindacato – aggiunge Cuka -, dai punti fermi e dalle adesioni da parte delle persone”.

I cosiddetti “punti fermi”, alla base della piattaforma sono principalmente quattro:
- unificare i criteri e la metodologia della formazione su tutto il territorio nazionale per potere dare ai mediatori la possibilità di spostarsi da una regione all'altra;
- procedere a una formazione settoriale (scuola, ambito sanitario, penitenziario, sportelli, enti locali, ecc) per far diventare questa professione - inserita come tutte le altre tra i profili ISFOL - un lavoro che possa dare non solo dignità all'immigrato (visto che è l'unica possibilità di crescita professionale fino quando non si arriva all'equipollenza dei titoli di studi), ma anche una professione stabile che possa assicurare una retribuzione mensile senza dover sottostare al rinnovo di progetti da 20 ore;
- sollecitare i vari ministeri affinché sostengano progetti per l'inserimento dei mediatori presso le strutture pubbliche;
- dare precedenza ai mediatori immigrati o madrelingua e agevolare l'inserimento degli studenti italiani, solo con ottima conoscenza non solo della lingua ma anche degli usi, dei costumi, delle legislazioni dei paesi coinvolti.

Su questi punti si basa anche la proposta di legge che il sindacato vuole presentare. “Ci mettiamo subito al lavoro – garantisce Klodiana Cuka – per poterla fare entro la fine dell’anno. In quell’occasione potremmo organizzare anche un incontro nazionale dei mediatori interculturali, un idea che in tanti ci hanno proposto”.

Per ora le forze sono concentrate sulla comunicazione. “Avendo più voci – dice Cuka – si potranno fare maggiori e più veloci passi in avanti. Aspettiamo opinioni e adesioni da mediatori di ogni nazionalità, anche se la nostra iniziativa nasce in tutela dell’immigrato”.

Per facilitare l’interscambio il sindacato metterà sul sito www.seiugl.it una newsletter mensile. Nelle sue intenzioni c’è anche quella di creare un tavolo di lavoro permanente in materia di mediazione coinvolgendo il Ministero del lavoro, il Ministero dell’Istruzione, il CNEL (Consiglio nazionale dell’economia e del lavoro), l’AICCRE (la sezione italiana del consiglio dei Comuni e delle Regioni d’Europa). È prevista anche l'organizzazione di una Consulta nazionale e una banca dati dei mediatori, che coinvolgano gli interessati a livello nazionale.

A curare l'organizzazione del nuovo sindacato, presieduto da Luciano Lagamba, sono state chiamate tre rappresentanti del Sei Ugl, da tempo impegnate nelle battaglie in difesa dei diritti degli immigrati: Klodiana Cuka, Natalya Tsebryk e Clarisse Niagne Essane. Si può contattare il sindacato al numero 06.32482225-284, all’e-mail mediatoriinterculturali@ugl.itIndirizzo e-mail protetto dal bots spam , deve abilitare Javascript per vederlo o all’indirizzo: via Margutta, 19, a Roma.

Il ruolo del mediatore in ambito sanitario

Potrebbe essere la chiave per un approccio più adeguato e incisivo


Roma - 19 maggio 2008 - La nostra Organizzazione Sindacale in questi anni, come è nella propria tradizione e nel significato  che tutto il Sindacato assume in questo ambito, ha maturato la consapevolezza che un problema così pressante e importante deve necessariamente partire dall’analisi della realtà, dal confronto con le istituzioni e il privato sociale.

È giusto e doveroso che il Sindacato approfondisca con le Comunità Straniere nel nostro Paese, con gli Enti Locali, con la Scuola, le famiglie, con il mondo del lavoro tematiche così delicate e preoccupanti che hanno risvolti in ambito sociale e sanitario. La promozione della salute delle popolazioni migranti e il contrasto alle nuove ma vecchie malattie della povertà rivestono un aspetto fondamentale per la migliore integrazione.

I problemi connessi al fenomeno dell’immigrazione vedono risvolti ancora più inquietanti. Se pensiamo ad esempio alle problematiche connesse al fenomeno dei minori non accompagnati.

L’attenzione è rivolta soprattutto ai minori per i quali l’UGL Sei si è impegnato proprio in questi giorni, con un convegno, per il miglioramento dell’accoglienza dei minori stranieri, proponendo, fra le altre cose, delle strategie finalizzate attraverso un vero e proprio decalogo per l’attuazione di  un dibattito costruttivo, per una migliore programmazione, per l’inserimento scolastico, per il sostegno alle famiglie.

Negli ultimi sette anni sono stati circa 50 mila i minori stranieri non accompagnati che hanno raggiunto l'Italia. Di questi, 6.500 sono arrivati nel 2006, 1.335 sono sbarcati sulle coste. Il 73% ha un'età compresa tra i 15 e i 17 anni mentre il 25% tra i 7 e i 14 anni. Provengono dalla Romania (37%), dal Marocco (22%), dall'Albania (15%).

Abbiamo sollecitato, fra l'altro, una cabina di regia a livello istituzionale sulla materia; il potenziamento del ruolo delle organizzazioni dei lavoratori e delle imprese; un rafforzamento dell'attività di vigilanza ed ispettiva contro il lavoro nero e lo sfruttamento minorile ed abbiamo avviato una campagna informativa nei paesi di origine con l’apertura di sedi decentrate all’estero sulle condizioni di vita, di studio e di lavoro in Italia.

I minori più di altre categorie sono soggetti deboli. Se poi sono soli e stranieri il rischio di devianza è ancora più elevato, così come quello di finire nella rete della criminalità o in stato fisico debilitato e di abbandono.

I minori stranieri, anche se entrati clandestinamente in Italia sono titolari di tutti i diritti garantiti dalla convenzione Onu sui diritti del fanciullo, che si applica ai minori senza discriminazioni.

In base alla normativa italiana infatti questa categoria di bambini ha diritto di ricevere protezione e assistenza, essere iscritta a scuola, ricevere assistenza sanitaria e ottenere il permesso di soggiorno.

Il paradosso però è che quando raggiungono la maggiore età non è automatico il rinnovo del permesso per rimanere legalmente in Italia e quindi, diventano nuovamente clandestini; per questo è necessario semplificare l'accesso ai diritti fondamentali dei bambini. L'auspicio è che si continui nello sforzo di relazionarsi a questa realtà in modo sempre più scientifico e completo, facendo emergere dal mondo degli invisibili tutti questi minori non accompagnati.

È evidente come la salute sia imprescindibilmente legata all’ambiente sociale in cui i contesti socio economici incidono prima che fattori genetici, biologici chimici e fisici.

La condizione socio-culturale degli immigrati influenza il rischio di malattie, la diffusione, il decorso e spesso l’esito della malattia.

È dimostrato come un modello valido di welfare deve integrare un servizio sanitario nazionale, solidale, pubblico ed universale, e deve riscontrarsi sempre con i cittadini immigrati e con i minori immigrati, le cui disuguaglianze economiche, sociali e culturali sono determinanti per l’accesso ai servizi sanitari.


È necessario dunque, acquisire nuovi piani organizzativi sul territorio attraverso l’introduzione di strumenti e tecniche per incidere a diversi livelli sulla prevenzione e sulla diffusione della cultura della prevenzione.

Sono note le patologie legate al fenomeno dell’immigrazione, sviluppo delle malattie infettive, parassitosi, alcoolismo. Nel nostro Paese, sono state registrate recrudescenze di alcune malattie infettive quasi totalmente scomparse come la tubercolosi, ma anche malattie legate a carenze alimentari e alla sottonutrizione.

Riteniamo che l’incontro con il cittadino migrante debba avvenire attraverso categorie specializzate che valutino il cittadino minore o adulto nel contesto della sua provenienza e i mediatori interculturali potrebbero essere la chiave per l’approccio più adeguato e incisivo.

Oggi possiamo dire che per quello che riguarda la conoscenza dei diritti dell’immigrazione grazie all’attivazione degli sportelli unici per l’immigrazione, l’attività sindacale, il mondo dell’associazionismo grandi passi in avanti sono stati fatti nel trasfondere i diritti verso i cittadini immigrati, ancora in itinere è l’attuazione di una politica socio sanitaria volta alla tutela del diritto alla salute degli immigrati.

In ultimo, ma non per importanza c’è l’aspetto della solitudine degli immigrati per la quale incidono negativamente la lontananza e la mancanza della famiglia sulla sfera psicologica e psichiatrica a causa della difficoltà burocratica dei ricongiungimenti familiari

Nella convinzione che, la salute sia un diritto dovere sul piano sociale ma ancora primo etico per la dignità degli individui soprattutto in condizioni di debolezza riteniamo necessario innanzi tutto l’attuazione di una riorganizzazione dei servizi sanitari per garantire maggiori interventi di tipo formativo rivolti agli operatori e informativo e di sostegno per l’utenza immigrata. Le Regioni in questo senso potrebbero svolgere un ruolo chiave nella programmazione del Servizio Sanitario Regionale attraverso l’attivazione di unità specifiche dedicate all’assistenza sanitaria dei cittadini immigrati, ma troppo spesso è carente l’informazione e l’accesso a questi servizi.

Attualmente sono stati attivati da parte delle Università percorsi di specializzazione in materia di medicina transculturale, delle Emarginazioni e Immigrazioni che offrono una preparazione specialistica ma è necessario parallelamente incentivare e promuovere le associazioni e le istituzioni che attraverso medici volontari e del servizio pubblico possano offrire prestazioni e assistenza per la strada con l’uso di camper attrezzati per una prevenzione ed informazione sulla salute.

Alla luce di queste emergenze è evidente come sia necessario il rafforzamento di competenze specifiche verso l’immigrazione attraverso l’impegno dei mediatori interculturali, degli insegnanti di italiano, dei medici e specialistici del settore socio – sanitario per far fronte ai cambiamenti sociali nel nostro Paese.

L’UGL SEI propone l’introduzione della figura del mediatore interculturale settoriale al fine di avviare specifiche competenze incentrate principalmente su aspetti comunicativi e di legislazione del lavoro, compresi l’igiene e la sicurezza, si dovrà legare una formazione di tipo più marcatamente specialistica relativa alle normative tecniche specifiche di ogni settore. Un percorso che, peraltro, è stato tratteggiato in diversi documenti, compreso uno studio del Cnel, nel quale si individua una preparazione in due step. Il primo passaggio prevede tre moduli dedicati alla comunicazione e alle relazioni interculturali, alla normativa vigente e alla organizzazione e ai servizi.

Nel secondo blocco, invece, sono previsti interventi ad hoc a seconda dell’ambito di impiego del mediatore culturale, per cui si hanno approfondimenti relativi alle aree socio-sanitaria, educativa-scolastica, sicurezza e giustizia, emergenza e prima accoglienza, lavoro.


In conclusione dunque alla luce delle analisi esposte, il Sei UGL propone alle istituzioni e al privato sociale un decalogo per un “dibattito costruttivo”, un contributo che possa andare oltre alle logiche di parte per approdare ad un documento condiviso e, soprattutto, aperto alle migliori esperienze che evidenzi, finalmente, cosa serve al Paese.

IL DECALOGO PER UN DIBATTITO COSTRUTTIVO

1.    La cabina di regia:
Una cabina di regia è necessaria per una migliore forma di coordinamento. Gli interventi in materia di immigrazione sono sempre stati di tipo orizzontale, con competenze spacchettate su più ministeri (interni, esteri, salute, solidarietà sociale, pubblica istruzione, economia, lavoro, famiglia) ai quali si aggiungono iniziative diverse da regione a regione in una ottica che di fatto traduce un concetto positivo: la sussidiarietà, in una pratica quotidiana dagli scarsi risultati pratici.
Per ovviare a ciò, è quindi necessario riscrivere i rapporti istituzionali, approdando ad un coordinamento degli interventi in materia di immigrazione che sia effettivo e non di specie.

2. Il sostegno alle famiglie:
La famiglia, quale nucleo fondante della società, occupa un ruolo fondamentale nell’indirizzare il fenomeno dei minori immigrati non accompagnati su binari che comunque permettano all’adolescenza di vivere la propria età e il proprio sviluppo psico-fisico in forma corretta e non deviata. Sia che sia formata da componenti di nazionalità italiana, sia che questi stessi siano in parte o del tutto stranieri, la famiglia, se opportunamente sostenuta dalle istituzioni, può produrre gli anticorpi per affrontare in maniera efficace la devianza minorile, contribuendo così alla maturazione e alla responsabilizzazione delle giovani generazioni.

3. Aperti alle rappresentanze:
Le organizzazioni dei lavoratori, le associazioni datoriali e, più in generale, il mondo del privato sociale hanno, in questi anni, attivato puntuali meccanismi di assistenza e di tutela dei cittadini stranieri presenti in Italia. Una attività che ha prodotto risultati importanti in tema di accoglienza, come anche di raccordo con i Paesi di origine con l’avvio, ad esempio, di percorsi formativi e di processi di ricongiungimento familiare. In un’ottica di sussidiarietà, questo ruolo va oggi ulteriormente potenziato.

4. Risorse per crescere:
Non è assolutamente esagerato affermare che ci si trova davanti a fenomeni epocali, quando si parla di immigrazione. Ed allora, per fronteggiare le sfide che ad ogni giorno si rinnovano, ad iniziare proprio da quella per l’acco-glienza e il sostegno ai fanciulli e agli adolescenti immigrati, è fondamentale che siano individuate adeguate risorse economiche. Se veramente si crede nella cooperazione istituzionale,gli enti locali debbono essere messi in condizione di poter programmare gli interventi avendo come punto di riferimento le esigenze e non invece le ridotte disponibilità finanziarie.

5. Mediatore culturale formato e pagato per la propria
professionalità:
Passare dalla fase dell’improvvisazione a quella della programmazione per quanto riguarda la mediazione culturale. Chi opera, magari già da anni, con i cittadini stranieri, in particolare con i minori, deve vedere valorizzata la propria professionalità attraverso un percorso formativo propedeutico e di long life term,a garanzia anche dell’immigrato utente. Occorre quindi predisporre dei percorsi
formativi standard validi su tutto il territorio nazionale. È poi fondamentale che le parti sociali definiscano un Protocollo di intesa per il riconoscimento della figura del mediatore culturale all’interno dei contratti collettivi di lavoro di riferimento.

6. La centralità della scuola:
La scuola è da sempre veicolo di crescita psico-fisica delle giovani generazioni. Oggi è chiamata ad affrontare, come istituzione, una sfida nuova, simile, per molti versi, a quella che in passato ha permesso al nostro Paese di uscire da un analfabetismo diffuso. La presenza di tanti giovanissimi immigrati negli istituti scolastici impone, però, la necessità di assicurare ai docenti e al personale impiegato una costante preparazione, sia in termini di contenuti sia per modalità di insegnamento. Per far questo, occorrono, in primo luogo, risorse, ma anche certezze; in questi anni, troppe riforme hanno finito per far perdere
alla scuola l’autorevolezza conquistata al prezzo del sacrificio civico di tanti docenti che, pur se sottopagati e scarsamente valorizzati sotto il profilo professionale, non sono mai venuti meno alla missione di educare i giovani al rispetto dei valori e alla conoscenza.

7. Contro il lavoro nero e lo sfruttamento:
Lo sfruttamento del lavoro minorile, in coerenza con il dettato costituzionale e con la Carta fondamentale dei diritti dei cittadini dell’Unione europea, deve essere contrastato attraverso il rafforzamento della attività di vigilanza ed ispettiva degli organi competenti. Il numero degli infortuni sul lavoro, anche mortali, è e resta troppo alto per potersi permettere di allentare la presa, soprattutto all’indomani della definizione di un Testo unico di raccordo e razionalizzazione della normativa in materia
di sicurezza e salute nei luoghi di lavoro. Di lavoro, purtroppo, si può morire anche lentamente, soprattutto se ad essere sfruttato lungo una strada o ad un semaforo è una giovane o un giovane ai quali viene negata l’infanzia.
Come sollecitato anche dal gruppo di lavoro presso la Presidenza del Consiglio dei ministri è opportuna la creazione di un osservatorio sul fenomeno della tratta, con particolare riferimento a quella che coinvolge i minori.

8. Comprendere la realtà:
La lettura del fenomeno dell’immigrazione nel nostro Paese è particolarmente complessa, sia qualitativamente che quantitativamente. Per tale ragione, appare necessario arrivare ad una reale condivisione delle banche dati, così da avere un quadro che sia il più chiaro possibile.
Senza avere certezza dei numeri, non è possibile avere contezza delle risorse che servono per affrontare compiutamente il processo di integrazione dei minori stranieri presenti in Italia. In questo senso è altresì fondamentale che le istituzioni e gli enti interessati, sia pubblici che privati, nella raccolta dei dati distinguano in base all’età e al sesso, mentre appare non più rinviabile la definizione di un Protocollo nazionale per l’accertamento della età.

9. Accoglienza e diritti:
Il minore, in quanto tale, necessita di una attenzione particolare da parte delle istituzioni. Se poi si tratta di adolescenti stranieri non accompagnati, allora diventa ancora più evidente come serva uno sforzo ulteriore per assicurare l’accoglienza e la pienezza dei diritti. In questo senso, vanno quindi potenziate le strutture dedicate alla cura dei minori, favorendo laddove possibile il collocamento all’interno delle famiglie. Si deve altresì operare per mettere in rete le migliori esperienze elaborate dagli enti locali; fra queste andrà considerata anche l’istituzione della figura del Garante dell’infanzia e della adolescenza,
prevista nella Convenzione di New York del 20 novembre del 1989.

10. Comunicare con successo:
L’avvio di una campagna informativa nei Paesi di origine è fondamentale per mettere il minore a conoscenza di quelle che sono le condizioni di vita, di studio e di lavoro italiane. È quindi auspicabile il coinvolgimento dei governi e della stessa Unione europea per avviare una capillare iniziativa che, partendo dalle scuole e utilizzando la televisione e gli altri organi di informazione, possa contribuire a scoraggiare forme di immigrazione “al buio”, senza il supporto di familiari o di una rete parentale, spesso precondizione per situazioni difficilmente gestibili che poi conducono a fenomeni di devianza.

Luciano Lagamba
Presidente S.E.I. U.G.L.

Il mediatore culturale, un mestiere controverso  

Un ponte fra culture, costretto a precariato e incertezza. La professione che si impara dal vissuto


Roma – 8 maggio 2008 – Sulla figura del mediatore culturale o interculturale ci sono opinioni controverse, definizioni disparate, punti di vista contrapposti. Per qualcuno indispensabile, per altri inutile, da quando esiste ha fatto aprire non poche dispute. Ed è per questo che da poco è nato un apposito sindacato.

Necessaria o no, su una cosa tutti sono d’accordo: si tratta di una figura “ponte”, che fa da tramite tra culture, che sta tra l’immigrato e uno sportello della Prefettura, un ospedale, un patronato, un centro d’accoglienza. Oppure si pone tra la cattedra e una classe multietnica, sia per facilitare l’inserimento dei bambini stranieri, sia per raccontare alle nuove generazioni di italiani i motivi dell’emigrazione, le realtà che si vivono in Paesi meno fortunati, oltre che le culture “altre”. Perché conoscere le diversità senz’altro aiuta ad abbattere i pregiudizi.

Una persona insomma che dev’essere munita di numerose caratteristiche, sia personali che formative. E già qui si presenta il primo dei problemi. Cosa serve per essere mediatore interculturale in Italia? Spiega Klodiana Cuka, una delle tre donne immigrate che l’Ugl ha posto alla guida del Coordinamento nazionale del neonato sindacato dei mediatori interculturali: “Tanto per cominciare bisogna averne le attitudini: l’empatia, il saper comunicare e interagire con gli altri, riuscire a comprendere e a farsi capire con facilità, conoscere più di una lingua e più di una cultura, avere un percorso migratorio alle spalle. A tutto ciò va aggiunto un percorso formativo adeguato”.

Ma non tutti sono d’accordo sul fatto che il mediatore debba essere tutto questo. “Qualcuno crede che facciamo gli interpreti – dice Steve Emejuru, del mestiere sin dai primi anni ’90 -, il mediatore linguistico è una figura a sé stante, io non sono tenuto ad essere entrambe”.

Si presenta poi un’altra questione controversa. Può un mediatore interculturale essere adatto a ogni settore che necessita di una figura simile? Colui che sta tra i bambini a scuola, può essere altrettanto efficiente in un ospedale o in un carcere? La risposta più comune è no. Perché, ad esempio, “un conto è raccontare ai giovani le proprie esperienze e trasmettere il bagaglio culturale di chi sta a metà tra due culture – spiega ancora Steve Emejuru –, un altro è assistere una donna musulmana nel difficile rapporto che ha con medici e strutture sanitarie italiane”.

“A oggi – dice Clarisse Niagne Essane, un’altra delle tre donne del Coordinamento nazionale del nuovo sindacato dell’Ugl - i corsi per diventare mediatore non fanno distinzione tra i diversi settori di impiego. Al massimo si fanno dei cenni settoriali ma questo non è sufficiente”. Klodiana Cuka parla addirittura di necessità di specializzazioni nelle specializzazioni. “Nel settore sanitario – spiega – un conto è lavorare in corsia, altro alle Asl. Anche nelle scuole devono esserci delle suddivisioni per macroaree, dunque mediatori specializzati per un determinato gruppo di etnie”.

Ma prima ancora della necessità di corsi divisi per settori, c’è il problema della non omogeneità dei percorsi formativi. Alcuni hanno una durata di 200 ore, altri di 1200. Si intende che alcuni sono affidabili, altri meno, e soprattutto che quelli riconosciuti da una Regione italiana non lo sono in un’altra. “Purtroppo i corsi sono diventati un business – fa notare Klodiana Cuka –, ci si può fidare principalmente di quelli regionali, che tra l’altro sono gratuiti. Ma è fondamentale che vengano unificati i moduli formativi, la durata e la metodologia, che vengano gestiti dal Ministero, in modo che possano essere spendibili a livello nazionale e magari, in un futuro, anche europeo”.

Negli ultimi anni sono nati anche dei corsi universitari di mediazione culturale. Anche questo ha scatenato un po’ di polemiche. Secondo qualcuno, infatti, questo mestiere dovrebbe essere di assoluto (o quasi assoluto) dominio degli immigrati, “gli unici – a parere di Cuka - a poter comunicare davvero con altri immigrati soprattutto in situazioni delicate. Perché c’è reciproca solidarietà e si eviterebbe la diffidenza che spesso contraddistingue i rapporti con gli italiani”.

C’è da considerare anche il fatto che questo è ritenuto dagli stranieri l’unico lavoro “di qualità” che possono svolgere senza che un italiano li scavalchi e senza la necessità di compiere il lungo (spesso impossibile) percorso del riconoscimento della propria laurea o professione. E sostanzialmente, sono del parere che all’università non si impara una cultura, non si insegna il cammino pieno di ostacoli del migrante e neppure la fame o la dittatura che spinge a scappare dalla propria Patria, lontano dai familiari.

Alle scuole Steve Emejuru propone quattro progetti: “vita sociale in Nigeria, la quotidianità della comunità”; “la diversità e i punti di incontro”; “perché gli africani lasciano l’Africa, realtà socio-politica nel continente africano”; “i ritmi della vita, l’educazione attraverso il ritmo della musica, del canto, del ballo”. Racconta che quando c’è la sua ora, i bambini vogliono andare a scuola anche se stanno poco bene. La sua gioia è vedere i risultati del suo impegno riflessi nei loro occhi e nell’interesse che dimostrano. “Non ci sono testi capaci di insegnare il lavoro del mediatore interculturale – dice Steve -, si può imparare solo dal proprio vissuto. Anche perché, secondo me, questa non è una professione vera e propria, ma piuttosto una missione”.

Antonia Ilinova

Nasce il sindacato dei mediatori interculturali

Un’iniziativa del Sei Ugl e dell’Ale per ottenere il riconoscimento e la regolamentazione di una professionalità sempre più necessaria


Roma – 29 aprile 2008 – L’Ugl (Unione generale del lavoro) lancia il sindacato dei mediatori interculturali. Un soggetto rappresentativo di figure professionalmente non riconosciute, ma che hanno un ruolo importante nel processo di inclusione e integrazione degli immigrati in Italia. È basandosi su questo presupposto che l’Ugl e l’Ale (Associazione lavoratori emergenti) hanno pensato di creare un luogo in cui i mediatori possano essere tutelati e che possa farsi promotore delle loro rivendicazioni, “affinché il governo intervenga con una legge per riconoscere a tutti gli effetti questa professione”.

“La domanda di queste professionalità – spiega il presidente dell’Ugl Luciano Lagamba - aumenta con il crescere del numero di immigrati nel nostro Paese. Trattasi dunque di una sfida che investe la nostra stessa struttura sociale coinvolgendo una vasta platea di persone che devono conoscere e rispettare gli usi, i costumi e le diverse tradizioni delle etnie che vivono qui".

"Basti pensare - aggiunge Lagamba - che in Italia i musulmani sono un milione, i minori aumentano, almeno mezzo milione di cittadini africani risiede in modo stabile. I mediatori interculturali invece sono poco meno di 2.500, in sostanza un operatore ogni 1.250 cittadini stranieri. Non dobbiamo dimenticare che di fatto non esiste un percorso formativo codificato per cui l’acquisizione delle competenze è lasciata spesso all’iniziativa di privati”.

Di qui la necessità di creare un sindacato per i mediatori. “Si tratta a tutti gli effetti di un lavoro emergente – aggiunge Giancarlo Bergamo, presidente dell’Ale – privo però di punti di riferimento sia normativi che contrattuali. Il sindacato punta proprio a sensibilizzare le forze politiche, il parlamento e il governo, a decretare un riconoscimento professionale di questa attività e definire regole e criteri validi su tutto il territorio nazionale superando l’attuale difformità che si registra tra regione e regione”.

Secondo i sindacalisti sono necessari standard formativi univoci su tutto il territorio attraverso il coinvolgimento del ministero del lavoro, delle regioni, delle autonomie locali, delle parti sociali e delle istituzioni interessate, dalle scuole alle aziende sanitarie, agli istituti penitenziari. Il sindacato dei mediatori culturali punta ad arrivare alla firma di un protocollo di intesa per dare una reale copertura a questa figura professionale. “Sarà necessario – dicono - la previsione di un inquadramento del mediatore culturale nei contratti collettivi di lavoro. Accezione pressoché assente nei ccnl esistenti se non con qualche rara eccezione”.

Intanto, proprio in questi giorni, il profilo professionale del mediatore interculturale è stato riconosciuto dalla Regione Lazio in virtù di una delibera approvata dalla Giunta, su proposta dell'Assessore all'Istruzione, Silvia Costa, di concerto con l'Assessore alle Politiche sociali, Anna Salome Coppotelli.

“Il riconoscimento del profilo professionale e formativo del Mediatore interculturale - ha osservato anche l'Assessore Costa – è di fondamentale importanza. Questa figura-cardine dell'integrazione e dell'acquisizione della cittadinanza deve fare i conti con il mancato riconoscimento delle competenze e con la diversificazione delle proposte formative".

Da un'analisi condotta in seguito all'istituzione del Registro pubblico dei Mediatori interculturali da parte del Comune di Roma, è emerso che un quinto dei richiedenti l'iscrizione non possiede la certificazione formale che attesti la partecipazione a un apposito corso regionale ed è stato possibile effettuare solo una iscrizione provvisoria. Altrettanti richiedenti non possiedono alcun titolo che permetta loro di essere inseriti, anche solo provvisoriamente, nel Registro comunale.

“Con questa delibera - ha proseguito Silvia Costa - diamo quindi una risposta ai tanti nuovi cittadini che svolgono questa importante attività, il primo passo verso il raggiungimento di una qualifica spendibile e certificata. La delibera prevede, tra l'altro, l'istituzione di una apposita Commissione, che avrà il compito di individuare i criteri per il riconoscimento dei crediti per l'accesso ai percorsi formativi che saranno messi a punto sulla base di questo provvedimento. A breve saranno definiti gli standard formativi relativi all'articolazione, alle metodologie, alla durata sia del percorso di qualifica, sia di quello di specializzazione, coerenti con il nuovo profilo professionale”.


#2 Cristal

Cristal

    TpMI

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    Località:Roma
    Interessi: L'anima di una persona sta nascosta nello sguardo, per questo abbiamo paura di guardarci negli occhi. Jim Morrison

    Medaglie





Inviato 24 May 2008 - 10:14:43


Visualizza messaggioAzzurro, su 24-May-2008 09:53, dice:


Negli ultimi sette anni sono stati circa 50 mila i minori stranieri non accompagnati che hanno raggiunto l'Italia. Di questi, 6.500 sono arrivati nel 2006, 1.335 sono sbarcati sulle coste. Il 73% ha un'età compresa tra i 15 e i 17 anni mentre il 25% tra i 7 e i 14 anni. Provengono dalla Romania (37%), dal Marocco (22%), dall'Albania (15%).


Nel centro per minori maschi dell'Ass. in cui lavoro ci sono invece tanti minori romeni quanti moldavi, ed inoltre ce ne sono molto afgani.

In base alla normativa italiana infatti questa categoria di bambini ha diritto di ricevere protezione e assistenza, essere iscritta a scuola, ricevere assistenza sanitaria e ottenere il permesso di soggiorno.

Hanno diritto, ma per metterlo in pratica è un vero disastro! Spesso arrivano nelle strutture privi di documenti, le ambasciate non rilasciano un tubo e senza un documento non si può fare niente. Da noi, che abbiamo solo rumene è diventato in disastro iscriverle al SSN dopo l'entrata nell'UE se non hanno documenti. Prima si faceva l'STP e con quello si facevano le visite necessarie, ora è diventato tutto problematico ed estremamente macchinoso.
1. richiesta tutela
2. richiesta codice fiscale (e lì richiedono i documenti che non ci sono)
3. iscrizione al centro per l'impiego
4. e solo dopo l'iscrizione al SSN



5. Mediatore culturale formato e pagato per la propria
professionalità:
Passare dalla fase dell’improvvisazione a quella della programmazione per quanto riguarda la mediazione culturale. Chi opera, magari già da anni, con i cittadini stranieri, in particolare con i minori, deve vedere valorizzata la propria professionalità attraverso un percorso formativo propedeutico e di long life term,a garanzia anche dell’immigrato utente. Occorre quindi predisporre dei percorsi
formativi standard validi su tutto il territorio nazionale. È poi fondamentale che le parti sociali definiscano un Protocollo di intesa per il riconoscimento della figura del mediatore culturale all’interno dei contratti collettivi di lavoro di riferimento.

Io non credo che il problema sia tanto la formazione, già l'anno scorso ho visto una marea di corsi gratuii della Regione per la qualifica di mediatore culturale. Il problema secondo me è far capire agli operatori italiani che il mediatore è una figura necessaria anche perchè loro possano far bene il loro lavoro, riuscire a capire e farsi capire dall'utente e non che vada come capita. Se l'immigrato ha capito -  bene, se no - sti cavoli.



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L'anima di una persona sta nascosta nello sguardo, per questo abbiamo paura di guardarci negli occhi. Jim Morrison


#3 xanderx

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    Medaglie


Inviato 24 May 2008 - 12:52:05


Visualizza messaggioCristal, su 24-May-2008 10:14, dice:

Io non credo che il problema sia tanto la formazione, già l'anno scorso ho visto una marea di corsi gratuii della Regione per la qualifica di mediatore culturale. Il problema secondo me è far capire agli operatori italiani che il mediatore è una figura necessaria anche perchè loro possano far bene il loro lavoro, riuscire a capire e farsi capire dall'utente e non che vada come capita. Se l'immigrato ha capito -  bene, se no - sti cavoli.


Personalmente credo ci sia anche la necessità di fare chiarezza e di definire chiaramente chi è un "mediatore", questo termine da una parte sconosciuto - non riconosciuto è in qualche modo anche abusato / confuso. Oggi si può essere mediatori avendo seguito un breve corso di qualche ora, oppure un corso di centinaia, ma anche dopo aver preso una laurea e/o una laurea specialistica e/o un master... Credo ci sia bisogno di chiarezza, anche per tutelare chi nella mediazione ha investito tanti anni di lavoro e studio. In questa direzione trovo giusto che venga identificata chiaramente questa professionalità.




#4 Cristal

Cristal

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Inviato 24 May 2008 - 14:50:34


Visualizza messaggioxanderx, su 24-May-2008 12:52, dice:

Personalmente credo ci sia anche la necessità di fare chiarezza e di definire chiaramente chi è un "mediatore", questo termine da una parte sconosciuto - non riconosciuto è in qualche modo anche abusato / confuso. Oggi si può essere mediatori avendo seguito un breve corso di qualche ora, oppure un corso di centinaia, ma anche dopo aver preso una laurea e/o una laurea specialistica e/o un master... Credo ci sia bisogno di chiarezza, anche per tutelare chi nella mediazione ha investito tanti anni di lavoro e studio. In questa direzione trovo giusto che venga identificata chiaramente questa professionalità.
Credo che la chiarezza la devono avere soprattutto chi ci deve lavorare insieme ai mediatori, facendosi aiutare da loro nel comunicare.
Se un fruttivendolo non sa chi è il mediatore, non fa niente.
Da quel che ho visto io in questi 3 anni, nei progetti dove il mediatore era previsto, se i fondi erano pochi, allora come prima cosa per risparmiare tagliavano fuori il mediatore, come se questa figura fosse un attributo del quale si possa fare a meno. Invece a me sembra indispensabile nei progetti destinati agli immigrati.



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L'anima di una persona sta nascosta nello sguardo, per questo abbiamo paura di guardarci negli occhi. Jim Morrison


#5 xanderx

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Inviato 24 May 2008 - 17:41:07


Visualizza messaggioCristal, su 24-May-2008 14:50, dice:

Credo che la chiarezza la devono avere soprattutto chi ci deve lavorare insieme ai mediatori, facendosi aiutare da loro nel comunicare.
Se un fruttivendolo non sa chi è il mediatore, non fa niente.

Questo lo fai anche definendo chiaramente chi è un mediatore e da quale momento una persona può definirsi tale.
Se come giustamente hai scritto tu fosse solo chi vende la frutta a non capire il ruolo del mediatore, ci sarebbe poco da discutere, il fatto è che anche tra chi dovrebbe essere esperto, ad esempio tra gli stessi docenti di mediazione, il ruolo del mediatore non è chiaro se non "stravolto", lo si tende a confondere con il traduttore, con l'interprete. Nel sito http://www.mediazionefsu.it/ (forum libero degli studenti di mediazione dell'università La Sapienza) trovi diverse discussioni sull'argomento dove viene segnalato che anche i docenti dell’ università interrogati sulla figura del mediatore tendono in molti casi a sbagliare.
Personalmente penso che se riuscissero a definire in modo concreto e non lasciando alle leggi regionali chi è un mediatore ed il ruolo dei mediatori e riuscissero anche ad includere il mediatore nei CCNL, la situazione potrebbe migliorare.







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