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Ultimo in missione tra Ucraina e Moldavia: «Si capisce la guerra solo dove gli occhi vedono il dolore» - Corriere della Sera
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Ambasada.it
, 26 Mar 2022 - 09:41:35
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Inviato 26 March 2022 - 09:41:35
Ultimo in missione tra Ucraina e Moldavia: «Si capisce la guerra solo dove gli occhi vedono il dolore»
di Simona De Ciero
In partenza con il bus-ospedale torinese delle associazioni di volontariato. «Stiamo assistendo a un racconto piuttosto romanzato del conflitto che sembra perdere aderenza con la realtà. C’è differenza tra chi legge un dispaccio e chi va a vedere cosa sta capitando»
Venerdì è partita la missione di Rainbow4Africa diretta in Moldavia; è un autobus-ospedale, di base a Torino e per la prima volta in azione, attrezzato con sala operatoria e 8 posti letto di cui 4 intensivi; di una clinica mobile, un’ambulanza, due furgoni per il trasporto di persone, un’auto di servizio, tende e 112 mila euro di farmaci donati dal banco farmaceutico di Torino. Destinazione, la frontiera di Palanca (Moldavia), a pochi chilometri da Odessa. La missione è organizzata dai medici volontari di Rainbow4Africa, da Missionland, da Fondazione Banco Farmaceutico onlus; e dall’associazione volontari Capitano Ultimo onlus, fondata da Sergio De Caprio (detto Capitano Ultimo), l’ex militare italiano noto a capo dell’unità Crimor (Ros dei Carabinieri) che il 15 gennaio 1993 arrestò il capo di Cosa Nostra, Totò Riina.
Capitano Ultimo, come sta?
«Relativamente bene; sono in pensione e felice di aver combattuto per la nostra gente».
Raggiungerà la missione torinese in viaggio verso il confine tra Moldavia e Ucraina?
«Ora sto lavorando per chiudere i progetti a supporto dei profughi in arrivo in Italia. Poi, partirò anche io».
Che idea si è fatto di quello che sta succedendo in Ucraina?
«È difficile dirlo, stiamo assistendo a un racconto piuttosto romanzato che a tratti sembra perdere aderenza con la realtà. C’è un’enorme differenza tra chi parla perché legge un dispaccio, e chi va in prima persona a vedere cosa sta capitando. Il compito di associazioni come la mia, è quello di andare, osservare, documentare e aiutare».
Per testimoniare, insomma, bisogna esserci di persona.
«Esatto. È come la lotta alla mafia: se ne può parlare o si può fare davvero. Io direi di farla, e di lasciare il racconto in secondo piano. Non ho pregiudizi ma sento un grande dolore nel vedere persone che muoiono o che fuggono e chiedono aiuto. Nei loro occhi si vede la stessa paura che avevano i nostri nonni. Il dolore è lo stesso per tutti, che si perda un familiare a causa di una bomba, su un aereo, o per via di un’esplosione programmata in autostrada, come fu a Capaci e poi in via D’Amelio».
Cosa si può fare, per prevenire tanto dolore?
«Oggi senz’altro aiutare chi scappa e non ha più niente, sia se fugge dalla guerra, sia se scappa dallo stato di abbandono in cui versano molte periferie delle città italiane. Il nostro posto è là, in quel confine tra civiltà e inciviltà, tra violenza e generosità».
Ultimo, non si sente mai solo?
«Effettivamente a volte ci si sente un po’ soli o, perlomeno in pochi».
E non si è stancato di stare in prima linea, rinunciando alla sua libertà individuale?
«Ogni tanto mi do fastidio da solo per questa mia scelta di vita; però, nel tempo, ho capito che l’esistenza è una lotta permanente tra chi vuole praticare il dominio e chi il mutuo soccorso. Non dobbiamo arrenderci e accettare la legge del più forte. La speranza sono i nostri giovani».
Ragazzi sensibili e attenti ai temi del sociale e della difesa dell’ambiente…
«Assolutamente, sono la nostra speranza e anche l’unico esercito possibile».
Sente di appartenere a una generazione che ha fallito?
«Sì, nella misura in cui abbiamo dato per scontato i principi che ci avevano insegnato le generazioni passate. Poi ci siamo svegliati, e abbiamo capito che i rischi del passato non sono superati. E allora eccoci, a tornare a spiegare la pericolosità della mafia, o rilanciare il pericolo di chi si arma e pratica politiche di guerra e di sterminio dei popoli e a urlare che il rispetto per la vita non è un optional, ma tutto ciò che conta davvero».
Lei conosce il mondo dei servizi segreti: quanto ritiene attendibili le informazioni che stanno arrivando in Italia e quanto, resta ancora da capire sulle guerra a est dell’Europa?
«Sono sempre stato molto pragmatico, e ritengo che oggi, per comprendere cosa sta accadendo in Ucraina, i veri servizi segreti siano i profughi. Dobbiamo parlare con le persone che vengono qui e, attraverso i loro occhi e i loro racconti, captare cosa sta succedendo davvero».
Chi sono i volontari partiti in missione con l’autobus ospedale?
«I Medici di Rainbow-4Africa che hanno sempre portato il mutuo soccorso dove ce n’è davvero bisogno; e poi, volontari, carabinieri in congedo, cittadini semplici: persone che credono alla necessità di riportare al centro di tutto la comunità, lo stare insieme, e l’aiuto reciproco. Questioni che sembrano banali ma che, invece, segnano un solco profondo tra civiltà e inciviltà».
Ultimo in missione tra Ucraina e Moldavia: «Si capisce la guerra solo dove gli occhi vedono il dolore» Corriere della Sera
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