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La Transnistria e' ancora uno stato canaglia? - Eastwest


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#1 Ambasada.it

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Inviato 23 April 2017 - 09:26:57



Eastwest

La Transnistria e' ancora uno stato canaglia?
Eastwest
Era la parte più industrializzata della Repubblica Socialista Sovietica Moldava, mentre la Moldavia vera e propria rimaneva a base agricola. Andava difesa con i denti, benché lontana dalla Madrepatria. Si combatte tra russi e moldavi. Qualche morto ...




#2 XCXC

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Inviato 24 April 2017 - 18:26:44


La Transnistria e’ ancora uno stato canaglia?
Marco Rizzini Domenica, 23 Aprile 2017 Immagine inviata  Una statua di Lenin a Tiraspol, la capitale della Transistria.
Guardo la neve cadere lentamente. La intravedo nel riverbero dei fari d’illuminazione. Grassi fiocchi che sembrano  bianchi coriandoli. Danzano pigri, mossi dal vento. Questi lenti batuffoli non sembrano avere così tanta fretta di toccare terra. Respiro e si vede la nuvoletta. Fa freddo.

Fuori dalla piccola finestra, molto di più. Finestra è forse un termine generoso: si tratta di un piccolo rettangolo senza vetro, incastonato in questo blocco di cemento armato. Guardo l’uomo davanti a me e cerco di non far trasparire né ironia né paura, né supponenza né sfida. Lo guardo senza guardarlo, come ti insegnano a fare in carcere. Ha un cappello larghissimo, di quelli classici d’oltrecortina. Non sembra essere della sua taglia. Vecchi rimasugli dell’Armata Rossa abbandonati in qualche magazzino. Batte una lettera alla volta, nel mentre mi dice le uniche parole che sembra conoscere in inglese:problem big problem. Io non ho paura. Non perché sia particolarmente un duro, semplicemente perché non ho niente da nascondere e soprattutto perché non ho più voglia di regalare soldi a destra e a manca. Mi avete stufato, non voglio più darvi nemmeno una tangente, nemmeno un regalino. Basta. E non chiedetemi un altro подарок che non ne posso più.
Mentre penso baldanzoso a questo mio gesto di rivolta, lui sfoglia il mio passaporto con una lentezza esasperante. Non sembra avere molti impegni davanti a sé.
Questo accadeva dieci anni fa, in una guardiola di confine tra Transnistria e Ucraina. Adesso è tutto diverso. Rileggo i miei appunti del 2007 e mi sembra la sceneggiatura per un film dell’orrore. La Transnistria di oggi mi sembra una sorta di Pleasantville in salsa sovietica. Ragazze sorridenti, sole caldo benché siamo ad inizio dicembre, gente felice e serena per le strade. Ed il controllo di frontiera? Una semplice formalità, nulla di diverso dall’andare in Slovenia al casinò solo qualche anno fa.
La Transnistria è un lembo di terra non riconosciuto da nessuno se non da Russia, Ossezia ed Abkhazia. Gli ultimi due sono a loro volta degli stati che esistono solo de facto. L’ho vista cambiare davanti ai miei occhi. Dieci anni fa era tutto più triste e più povero. Adesso, complice l’appena trascorso anniversario della vittoria nella Seconda Guerra Mondiale, tutto è perfetto e funzionante. I monumenti, le strade, le case. Tutto è stato tirato a lucido. Non c’è una carta per terra e nessuno ci guarda più come se fossimo delle spie. C’è stato un avvicendamento al potere e quello che un tempo era il feudo di Igor Smirnov detto lo Sceriffo, adesso non lo è più. Almeno visivamente. Non ci sono più i grandi cartelloni con il suo volto e sembrano essere anche molte meno le insegne dei suoi supermercati e delle sue pompe di benzina. Sheriff  era il nome del suo brand. Sheriff come lo Sheriff Tiraspol che gioca nello Sheriff Stadium. All’epoca tutto era di proprietà del Presidente, una sorta di padre-padrone del popolo al di là del Dnestr. Nulla di nuovo, alla dissoluzione dell’Urss quasi tutte le nuove repubbliche nate sulle ceneri del Comunismo presentavano tratti simili di autoritarismo paternale. Il segretario del PCUS locale diventava in automatico il Presidente della neonata entità autonoma. Più o meno, successe così anche da queste parti. Per arrivare allo Stadio, s’incontrano caserme su caserme.
Se questa terra non è moldava e rimane indipendente de facto, è proprio grazie al fatto che qui erano acquartierati numerosi soldati di Mosca. Un’intera divisione. Questo era un esile lembo di terra ma con una altissima concentrazione di militari e di fabbriche. Era la parte più industrializzata della Repubblica Socialista Sovietica Moldava, mentre la Moldavia vera e propria rimaneva a base agricola. Andava difesa con i denti, benché lontana dalla Madrepatria. Si combatte tra russi e moldavi. Qualche morto, qualche eroe. Uno status quo che dopo circa venticinque anni permane vivo e vegeto. Ma chi c’è al posto del Presidente nei grandi cartelloni in centro a Tiraspol? Ci sono delle pubblicità di compagnie telefoniche, dei grandi banner relativi al settantesimo della Vittoria e più che altro, fuori dal cinema, una grande locandina sull’uscita di Rough One, l’ultimo episodio della saga di Star Wars. Che incredibilmente uscirà in contemporanea con il resto del mondo. A Tiraspol come a Londra, come a Milano e come New York City.
Camminiamo tra i palazzoni tutti uguali. Sono intervallati da bei giardinetti curati, ognuno dei quali ha delle giostrine per bambini. Le carrozzine sono tantissime e le famiglie giovani sono ovunque: non credo avranno bisogno di importare manodopera sottopagata per pagarsi le pensioni. Le vecchie case e le vecchie infrastrutture resistono. Tutto è stato ripitturato. Alla sovietica, con una bella mano di bianco a coprire lo scorrere del tempo. Per i fan del brutalismo sovietico, Tiraspol è un museo a cielo aperto secondo solo a quei capolavori dell’urbanistica di Chișinău e Tashkent. Mi sorprende la serenità che si incontra per le strade.
Passeggiamo lungo il fiume, fino ad arrivare al palazzo del Soviet e a quello strano Lenin che mi ha sempre ricordato Batman. Se lo guardate bene, sembra avere un lungo mantello alle sue spalle. Attorniato dai pipistrelli, che in realtà sono dei colombi o altri volatili che hanno nidificato lì in zona e che si levano in volo al mio passaggio. Passeggiamo lungo i traguardi dell’edilizia popolare, perdendoci tra una selva di palazzoni e parchi giochi. Nessuno chiede l’elemosina, nessuno sta mendicando, nessuno sembra morire di fame.
Decidiamo di andare in gita a Bender, la seconda città della nazione. È vicinissima, collegata con un trolleybus. Il mezzo è di ultima generazione e c’è anche la wifi a bordo. Troviamo alcuni segni della guerra del 1992. Alcuni palazzi mostrano ancora le ferite dei diversi colpi di artiglieria. Ricordano quelli di Sarajevo, lasciati così a memento perenne per i posteri. O lasciati così per far fare le foto ai turisti. Troviamo quello che sembra un teatro. Fuori dallo stesso, enormi affreschi che ci raccontano la vita agreste dei contadini sovietici. Sono di grandi dimensioni e da poco restaurati. Coprono l’intero lato dell’edificio. Sembrano di recente fattura ma portano sulla pelle i vecchi stilemi di un tempo. Sta iniziando a scendere il buio della notte e vengono accesi lampioni e luminarie natalizie. Anche gli addobbi riportano i colori della bandiera nazionale rossoverde, alternati a quelli del tricolore di Mosca.
Ci accorgiamo finalmente della vecchia signora intenta a fissarci da dietro la finestra della biglietteria. Ci guarda impaurita? Abbiamo fatto qualche foto di troppo? Chiamerà i servizi segreti che ci rapiranno come il povero Regeni? Esce in maglione nel gelo della sera e ci invita ad entrare. Sorride e ci accompagna all’interno del Palazzo della Cultura. Tutto è stato restaurato. Con gli occhi luminosi, color grigio-azzurro come quelli della mia amata nonna, mi prende sottobraccio e mi porta dentro alla grande sala. Sul palcoscenico alcuni ragazzini stanno provando varie attività circensi. L’anticamera è abbellita con le classiche fantasie della Russia campestre. Donne nei costumi tradizionali, spighe, bandiere e bambini sorridenti. E trattori, trattori ovunque. Quelli, non guastano mai.
Nella grande hall è presente una esposizione di immagini stampate. Sono veterani in divisa, con sullo sfondo scatti dal fronte o dell’Europa in preda alla follia del secondo conflitto mondiale. Da una parte della fotografia, un giovane e serioso soldato sotto le armi, dall’altra un arzillo nonnino sorridente col petto pieno di medaglie. In mezzo, una citazione di una sua intervista. La forza della memoria e del ricordo. Nei volti di questi reduci, l’orgoglio di chi ha fatto la propria parte e che per questo viene ringraziato dagli altri cittadini.
La Transnistria è tante cose. Per me, adesso, è questa signora che vive in uno stato definito canaglia ma che conosce la mia Verona, che cita Romeo e Giulietta e che vorrebbe andare a vedere l’opera in Arena. Non è mai uscita dall’URSS e con il suo vecchio passaporto non avrà l’occasione di viaggiare lontano. Eppure, le si illuminano gli occhi nel saperci italiani. Sogna con noi, con le nostre parole, con le foto che guardiamo dal mio telefono.
Sogna l’Italia e l’Europa. L’Europa a cui entrambi apparteniamo.



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