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Quando la radio dà i numeri Gli 007 e la storia delle numbers station
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XCXC
, 17 May 2013 - 22:16:54
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Inviato 17 May 2013 - 22:16:54
Quando la radio dà i numeri Gli 007 e la storia delle numbers station
Il mistero delle stazioni dei numeri, dalla Guerra Fredda ad oggi. Radioamatori entusiasti, spie doppiogiochiste al soldo di Castro. La storia degli 007 nello spettro dell'etere
Andrea Cortellari - Gio, 16/05/2013 - 12:10
"Zero, zero, nine, six. Two, two, five, one". Otto gruppi da quattro cifre. Ripetuti, sempre uguali, finché la trasmissione, com'era iniziata, si interrompe. Nell'ultimo minuto di Even Less, brano dei Porcupine Tree registrato a fine 1998, si nasconde un esempio del mistero forse meglio custodito della radiofonia.
Giochino da radioamatori entusiasti, paradiso dei cospirazionisti. Il segreto delle "stazioni dei numeri" ha affascinato negli anni un manipolo di folli che in quelle comunicazioni apparentemente senza senso hanno visto un residuo di scontri lontani e l'aria satura di sfida della cortina di ferro.
Combinazioni di cifre si propagano dall'etere, in sequenze da decrittare. Precedute da un segnale convenzionale – come erano precedute dai punti-linea della V di vittoria le trasmissioni di Radio Londra -, seguite da un silenzio carico dello sfrigolio delle onde corte.
Le stazioni dei numeri irrompono a centinaia sullo spettro dei MegaHertz, casuali o perfettamente puntuali. Ogni notte, a tarda ora. L'ultimo giorno di ogni mese dispari. Il terzo giorno di ogni seconda settimana. O senza soluzione di continuità alcuna. Appaiono. Richiamano l'attenzione di qualcuno. Scaricano una mitragliata di cifre. Poi più nulla.
Il silenzio accompagna l'uscita di scena momentanea di un'altra numbers station. Sulla stessa banda occupata da news e dispacci meteo, Akin Fernandez ha cercato per anni il bandolo di una matassa aggrovigliata da un filatore dispettoso.
Akin Fernandez, la caccia a un significato che sfugge
Una casa nella zona londinese di World's End (letteralmente la Fine del mondo), che già nel nome qualcosa di poco quotidiano riesce a prometterlo, Fernandez, unico impiegato di una piccola etichetta indipendente, inizia nel 1992 a scandagliare le frequenze, poi ad addocchiare qualsiasi libro prometta di spiegargli l'unico mistero che sembra insolubile: il senso delle voci meccaniche che sputano nella notte serie di numeri privi della grazia della logica.
Voci di donna, maschili, talvolta persino di infanti. Con la pazienza e la fede di un certosino, per anni Akin Fernandez registra tutto quello che sente. Cerca un'illuminazione in un oceano dove la profondità aumenta soltanto le domande. Incline a fissazioni poco logiche – lo racconterà bene nel 2004 un lungo ritratto del Washington Post – continua a inseguire i profili fantasmatici degli speaker amanti dei cifrari.
Il codice migliore? Quello più semplice
Fernandez si pone due interrogativi. Come faccio a sapere che cosa sto ascoltando? Anche sapendolo, come posso tradurre numeri sterili in lettere, parole, come sazio il mio bisogno di capire?
La risposta non è dietro l'angolo. Le numbers station non appaiono con in allegato un cifrario. Sfidano l'intelletto e lo mettono in crisi. È lo stesso spaesamento che la Seconda guerra mondiale portò all'esercito giapponese, quando improvvisamente non c'era più verso di spezzare il codice delle comunicazioni alleate.
A nulla vale ascoltare, se il significato è celato dietro una chiave che nessuno possiede. A metà degli anni '40, sotto l'artiglieria che battagliava per Iwo Jima, la chiave si chiamava Navajo. I decrittatori dell'imperatore Hirohito furono battuti dai vinti per eccellenza, dalle nazioni apache dalla lingua oscura, che si scambiavano posizioni, informazioni e richieste di copertura area per conto dei graduati.
Akin Fernandez si fa battere da un nemico che non conosce ancora. Almeno finché sulla sua strada non incontra un libro. Intercepting Numbers Stations è il testo che gli dà una conferma: quelle cifre che capta dall'etere non sono lo scherzo di un amatore con uno strano umorismo. Sono parole, o meglio ordini, destinati agli operativi dei servizi segreti di mezzo mondo.
Non c'è spazio perché i teorici del complotto si mettano a loro agio. Sebbene nessun servizio d'intelligence abbia mai detto in maniera ufficiale di utilizzare le numbers station per tenersi in contatto con i propri agenti sotto copertura, a fugare un bel po' di dubbi c'è una storia da film: quella dell'agente Montes.
Ana Montes, l’analista che faceva il doppio gioco
Nel 1997, Akin Fernandez si risveglia da un'ossessione che lo sta privando di una vita normale. Si scuote di dosso una passione che lo ha dilaniato per anni con un ultimo omaggio.
Fernandez realizza il Conet project. Quattro cd, più di 150 numbers station differenti, rumori e cifre da ogni parte del mondo e in ogni lingua. In un ultimo delirio racchiude con la cura del biografo tutto ciò che ha imparato in un lavoro maniacale. Anche il titolo, manco a dirlo, è un riferimento alla passione che lo ha rapito. In ceco “konec” è la parola fine, la conclusione di tante comunicazioni captate negli anni.
Lo stesso anno George Tenet, allora capo della Cia, consegna un riconoscimento speciale a uno dei suoi agenti migliori. Ana Montes si merita un encomio: è uno dei più esperti analisti delle politiche cubane su cui gli Stati Uniti possano contare. Ci vorranno altri quattro anni prima che Langley si accorga di chi davvero è Ana Belen Montes.
Figlia di genitori portoricani, Ana entra al servizio degli Stati Uniti passando dalla porta del Dipartimento di Giustizia. Lavora su documenti scottanti, sempre meno in sintonia con la politica statunitense nell'America Latina. Detesta quello che Reagan sta facendo in Nicaragua e parteggia per i sandinisti. Nel 1984 la svolta: viene messa a libro paga da Fidel Castro.
Dopo pochi mesi, Ana Montes accetta un lavoro alla Dia. Non ha cambiato idea sul governo americano. Cerca solo più accesso alle carte che contano. Inizia la scalata che la porterà nell'olimpo degli analisti. La chiamano la “regina di Cuba”. Per 16 anni farà il doppiogioco per l'Avana.
Atención! Atención! 7887 kHz
Ana Montes finisce di lavorare nel tardo pomeriggio. Raggiunge il suo appartamento di Washington, su Macomb Street. Inizia il suo secondo turno, al soldo dei cubani. Ha un pacchetto di floppy, da riempire di materiale segreto per l’intelligence castrista. Una frequenza sui cui sintonizzarsi, sui 7887 kHz.
Il messaggio inizia sempre allo stesso modo. “Atención! Atención!”. Al richiamo segue una sequenza di 150 numeri, che interrompe il silenzio dell’etere. cifre che la Montes batte su un pc, perché siano decifrate da un programma installato dai cubani.
Per anni passa informazioni che finiscono sull’isola di Cuba. Si isola da tutti, anche dalla famiglia. La sorella Lucy, agente del Fbi, nel momento più alto della sua carriera è chiamata a indagare su una rete di spie castriste, il Wasp.
Ana Montes, analista americana della DIA, spia per Fidel Castro
Capisce che qualcosa non va, che Ana è sempre più sola. Ma non sospetta un granché.
Nel 2001 la Montes viene smascherata. Pochi giorni dopo l’attacco alle Torri Gemelle, la rete tesa dal Fbi si stringe su di lei. Il 21 settembre viene accusata di spionaggio. Per 16 anni è riuscita a farla franca, basandosi su un sistema creato ai tempi della guerra fredda, intramontabile.
Missione Pyongyang, le numbers station sul 38esimo parallelo
Dodici anni dopo, diversi chilometri più in là. Oltre il confine che divide Seul e Pyongyang, al di là del parallelo della discordia, le numbers radio continuano a trasmettere le loro sequenze.
I radioamatori la chiamano stazione V24. Appare, scompare, su frequenze che variano: la 4900, la 5115, la 6215, la 6310. Qualche nota di una canzona popolare nordcoreana, poi i gruppi di cifre. Un messaggio. Destinato alle spie di Seul, in missione al Nord? Ufficialmente, nessuno lo confermerà mai.
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