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Decreto sviluppo, per i call center all’estero arrivano regole più strette


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Questa discussione ha avuto 4 risposte

#1 Vio

Vio

    TpMI

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    Medaglie


Inviato 17 July 2012 - 18:49:10


La fuga dei call center all’estero: “Rischi per la privacy degli italiani


Oltre 10mila operatori lavorano in aziende dell'Est Europa o del Nord Africa, in Paesi nei quali non ci sono normative rigide sulla tutela dei dati. L'Ugl ha scritto al Garante, ma non ha avuto risposta. Così ha lanciato una petizione che ha già raccolto oltre 15mila firme

La delocalizzazione all’estero di attività di call-center metterebbe seriamente a rischio la tutela della privacy e dei dati personali degli utenti italiani e rischia inoltre anche di violare alcuni principi costituzionali fondamentali in merito ai diritti-doveri dei cittadini italiani. Almeno 10mila dipendenti di call center esteri, in paesi dove non esiste una normativa rigida sulla tutela dei dati personali e dove spesso la pirateria informatica è all’ordine del giorno, hanno piena visibilità dei dati sensibili degli utenti italiani: nome, cognome, codici fiscali, partite Iva, indirizzo, dati bancari, carta di credito, traffico telefonico. Romania, Bulgaria, Tunisia, Turchia, Moldavia, Albania i Paesi in cui si trovano questi centri: customer care e call center di banche, società energetiche, aziende. Peraltro nel caso venisse commesso un reato da un operatore di call center estero, sicuramente il perseguimento dello stesso sarebbe molto più complicato per la magistratura italiana; impresa quasi impossibile se il call center estero si trovasse in un paese non appartenente all’Unione Europea. In attesa che il Governo dia una risposta a questa delicata questione o che il Garante della Privacy batta un colpo, l’Ugl Tlc ha lanciato una petizione popolare contro la delocalizzazione delle imprese italiane all’estero: al momento sono state raccolte oltre 15mila firme. 

L’Ugl Tlc ha chiesto chiarimenti sulla questione al Garante della privacy: “Il 9 giugno del 2010 abbiamo inviato il reclamo, ma ad oggi non abbiamo ancora ricevuto una risposta, nonostante il codice in materia di protezione dei dati personali preveda, una volta esaurita l’istruttoria preliminare, qualora il reclamo non sia manifestamente infondato e sussistano i presupposti per adottare un provvedimento, che il Garante possa iniziare la definizione del procedimento. E la fondatezza del reclamo – spiega Stefano Conti, segretario nazionale Ugl Tlc – è testimoniata dalle numerose lettere di richiesta di chiarimenti inviate alle compagnie telefoniche italiane da parte del Garante”. L’indagine però sembra essere sospesa nel vuoto: “Abbiamo inviato diversi solleciti al Garante e anche una richiesta formale di accesso agli atti il 30 maggio scorso, ma non abbiamo avuto nessun riscontro; sono ormai passati quasi 2 anni e stiamo ancora aspettando una risposta. Stiamo studiando – aggiunge Conti – ulteriori strade per ottenere chiarimenti in merito alla faccenda, anche per vie legali, non ci fermeremo”.

Alcuni dei paesi che hanno call center di compagnie telefoniche italiane, tra l’altro, figurano ai primi posti nelle classifiche dei furti d’identità con un voluminoso traffico illegale di documenti falsi con i relativi dati personali. “Il fenomeno dilagante delle delocalizzazioni – rimarca Conti – ha provocato un vero e proprio dissesto sociale nel settore delle telecomunicazioni, con un’emorragia dei posti di lavoro e con le grandi aziende committenti, sia pubbliche che private che pur di abbattere i costi causano dumping (cioè la vendita su un mercato estero ad un prezzo inferiore, ndr) fra le aziende in outsourcing, alcune delle quali, per accaparrarsi le commesse al ribasso non esitano a delocalizzare all’estero, ottenendo in questo modo un abbattimento del 60-70% sul costo del lavoro ed aumentando il profitto”.

Il tutto nell’inconsapevolezza dell’utente italiano che, titolare di un contratto di utenza telefonica stipulato in Italia e quindi sottoposto alla normativa nazionale sotto ogni profilo, compreso quello legato alla tutela dei dati personali e di traffico telefonico, nel momento in cui contatta il call center del suo gestore può veder dirottata la chiamata ad un operatore estero, senza venire in alcun modo informato né godere del diritto-facoltà di rifiutare il contatto.

Tra l’altro la situazione in essere presuppone anche il rischio di violare uno dei principi fondamentali della Costituzione italiana, l’articolo 3 che sancisce per tutti i cittadini pari dignità sociale ed uguaglianza davanti alla legge, “in quanto si verifica che, ad uno o più cittadini italiani clienti dello stesso gestore telefonico siano riservati trattamenti diversi nella tutela dei dati personali” spiega Conti.

L’allarme dell’Ugl Tlc dopo due anni è giunto anche in Parlamento grazie ad un’interrogazione del deputato Pd Ludovico Vico del 12 giugno scorso al Governo sulla chiusura dei call center in Puglia: “Ad oggi sarebbero circa 12mila i posti di lavoro persi e circa 3mila le richieste di ammortizzatori sociali, numeri che il prossimo anno potrebbero aumentare ulteriormente se si seguisse l’attuale trend di delocalizzazioni”. “Tale pratica di delocalizzazione – prosegue – rischia soprattutto di indebolire complessivamente il sistema Paese a causa del trasferimento di quantità indefinite di dati personali sensibili di cittadini (codice fiscale, dati bancari, numeri di carte di credito) in paesi che non garantiscono un’adeguata tutela dei dati sensibili e che sono tra i primi al mondo per tasso di pirateria informatica”.

Intanto, questa mattina le organizzazioni sindacali di categoria, Slc-Cgil, Fistel-Cisl, Uilcom-Uil e Ugl Tlc, hanno organizzato un presidio in Piazza Montecitorio “per portare all’attenzione dei componenti delle Commissioni Finanza e Industria della Camera – si legge nella nota dei sindacati – la grave situazione che attraversa il mondo dei call center”. “Il sempre più massiccio ricorso alle esternalizzazioni di lavoro all’estero – prosegue il comunicato – sta mettendo in serio pericolo migliaia di posti di lavoro nonché il diritto alla tutela e sicurezza dei dati sensibili dei cittadini”. L’onorevole Vico insieme al collega di partito Andrea Lulli, ha presentato un emendamento all’art. 52 del Decreto Sviluppo, al vaglio, in questi giorni, delle Commissioni Finanza e Industria della Camera, proprio per regolamentare il far west delle delocalizzazioni. “Rappresenterebbe un importante novità ed una seria base di partenza – spiega Vico – per rimettere ordine ad un settore che tanto ha dato al Paese in termini di occupazione. Il 12 luglio, in seconda lettura, l’emendamento in questione è stato dichiarato inammissibile ma non mi fermo, c’è ancora tempo per convincere la Commissione; la partita non è ancora chiusa”.






http://www.ilfattoqu...taliani/286938/



"{C}{C}When you were born, you cried and the world smiled. Live your life so that, when you die, you can smile and the world will cry{C}{C}"

"{C}{C}Quando sei nato piangevi ed il mondo rideva. Vivi la tua vita in tal modo che quando morirai, tu potrai ridere, mentre il mondo piangere.{C}{C}"

"Cind ti-ai nascut plingeai iar lumea ridea. Traieste-ti viata in asa fel ca atunci cind vei muri sa poti zimbi iar lumea sa plinga."

- Proverbio Cherokee-


#2 Ambasada.it

Ambasada.it

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  • Ambasadiani MIra
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Inviato 18 July 2012 - 03:27:24


Visualizza messaggioVio, su 17-Jul-2012 19:49, dice:

La fuga dei call center all’estero: “Rischi per la privacy degli italiani
Oltre

Giusto! Vuoi mettere la sicurezza della nostra terronia!

:24:  :rofl:  :on_the_quiet2:



.


#3 XCXC

XCXC

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    Medaglie








Inviato 26 July 2012 - 18:37:43


Decreto sviluppo, per i call center all’estero arrivano regole più strette

Un emendamento bipartisan mette fine al far west dei customer care: saranno più tutelati sia i lavoratori sia gli utenti che chiameranno o risponderanno. Ridotto il rischio di una giungla sui dati personali: "Primo passo per una legge che porti a una regolamentazione complessiva"




La delocalizzazione all’estero di attività di call-center non sarà più così semplice grazie al via libera al decreto sviluppo. Un emendamento presentato dai deputati Vico (Pd) e Saglia (Pdl) e approvato dalla commissione Finanze e Attività Produttive impone infatti alle aziende, in caso di delocalizzazione delle attività, di comunicare ai cittadini-clienti il Paese in cui sono stati trasferiti i dati sensibili degli italiani. L’emendamento contiene misure per la tutela dei dati personali, contro la delocalizzazione e a sostegno dell’occupazione nei call center con più di 20 dipendenti.

“Le nuove norme sui call center – dichiara Ludovico Vico - sono molto positive perché disincentivano la delocalizzazione delle attività all’estero e tutelano gli utenti e i lavoratori. Le norme approvate regolamentano le attività dei call center con almeno 20 dipendenti scoraggiandone la delocalizzazione attraverso un sistema di disincentivi e penalizzazioni”. In effetti la delocalizzazione selvaggia d’ora in poi non avrà vita facile ed i dati personali degli italiani, seriamente a rischio saranno più tutelati. “Le aziende che delocalizzano le attività – si legge nell’emendamento approvato – non potranno ricevere incentivi all’occupazione e, comunque, dovranno darne comunicazione almeno 120 giorni prima al Ministero del lavoro, indicando i lavoratori coinvolti, e all’Autorità garante della privacy indicando quali misure vengono adottate per il rispetto della legislazione nazionale, in particolare del Codice in materia di protezione dei dati personali. Analoga informativa – prosegue il testo – deve essere fornita dalle aziende che già oggi operano su paesi esteri”.

“Inoltre – spiega Vico – quando un cittadino effettua una chiamata ad un call center deve essere informato preliminarmente sul paese in cui l’operatore con cui parla è fisicamente collocato e deve, al fine del rispetto della protezione dei suoi dati personali, poter scegliere che il servizio richiesto sia reso tramite un operatore collocato sul territorio nazionale. Allo stesso modo, quando un cittadino è destinatario di una chiamata da call center deve essere preliminarmente informato sul paese estero in cui l’operatore è fisicamente collocato, avendo quindi il diritto-facoltà di rifiutare il contatto. Il mancato rispetto delle norme – prosegue Vico – viene punito con una sanzione di 10mila euro per ogni giornata di violazione”.

“Questa norma – dichiara Vico – è il primo passo per un disegno di legge complessivo per avere una regolamentazione specifica su questo settore. Apre un varco importante al fine di mettere dei paletti ben definiti, a tutela del lavoro e dei dati personali. C’è già un disegno di legge per regolare il settore a firma mia e di Cesare Damiano depositato da più di un anno”.

“Finalmente si avvia un concreto percorso per la ricerca di regole nel mercato delle telecomunicazioni, caratterizzato dalla totale assenza di norme necessarie per garantire stabilità occupazionale ed evitare fenomeni di dumping (cioè la vendita su un mercato estero ad un prezzo inferiore, ndr) tra le aziende” commenta il segretario nazionale dell’Ugl Telecomunicazioni, Stefano Conti. L’Ugl Tlc ha chiesto più di due anni fa chiarimenti al Garante della privacy, in merito alla tutela dei dati personali dei cittadini italiani gestiti da aziende di call center estere, non ricevendo ancora una risposta ed ha anche lanciato, qualche mese fa, una petizione popolare contro la delocalizzazione delle imprese italiane all’estero.

“E’ giunto il momento – prosegue il segretario Ugl Tlc – di fare chiarezza anche sulla tutela dei dati personali dei clienti, per la quale abbiamo avanzato un reclamo al Garante della Privacy. E’ paradossale, infatti, che mentre in Italia in diversi call center ai lavoratori vengono richieste le impronte biometriche per il trattamento dei dati, si consenta al contempo che gli stessi vengano gestiti in Paesi dove non esistono regolamentazioni in materia ed in cui l’alto tasso di pirateria informatica è ben noto a tutti. Questo emendamento è il primo passo, importante, per regolamentare il far west delle delocalizzazioni”.

Esultano anche gli altri sindacati di categoria, che insieme a Ugl Tlc hanno organizzato un presidio a Montecitorio la scorsa settimana per l’approvazione dell’emendamento Vico-Saglia: “Finalmente è riconosciuto il diritto del cittadino-cliente di essere informato sul luogo fisico in cui saranno gestiti i suoi dati personali – dichiara Emilio Miceli, segretario generale Slc Cgil – consentendogli di opporre un rifiuto al trattamento di dati in paesi diversi dall’Italia. E’ un emendamento che incoraggia a proseguire nella battaglia contro il mercato nero dei database di dati sensibili”.



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#4 XCXC

XCXC

    TpX2MI

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    Medaglie








Inviato 26 July 2012 - 18:49:59


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A causa della globalizzazione senza regole voluta da gente come Prodi...

abbiamo perso i migliori maestri e operai specializzati compreso il know-how in diversi settori... da nord a sud (penso alle scarpe della riviera del brenta e pugliesi)

Stiamo esportando alta tecnologia in paesi in via di sviluppo senza che alcuno alzi un dito!

Nessuno si preoccupa del dumping cinese... (dove il governo paga persino le spedizioni ai prodotti da export)

L'imprenditore italiano... oltre ad essere tassato come nessuno... non ha avuto alcuna protezione dei mercati! E si importa tutto alla faccia della legalita'!

Tutto questo ha portato la disoccupazione e la crisi dell'Euro ben noti!

E DI COSA SI PREOCCUPANO 4 POLITICI RINKOGLIONITI?

DI SALVARE LA MISERA MANODOPERA DEI CALL-CENTER DEL SUD ITALIA!

IN PRATICA CERCA DI METTERE LE BRIGLIE ALL'IMPOSSIBILE PERCHE' LA RETE E LE TELECOMUNICAZIONI SONO IN PIENA ESPANSIONE E NN SI POTRANNO FERMARE !!!

INVECE DOVE E' POSSIBILE INTERVENIRE... SULLE MERCI... SULLA QUALITA'... SUI DAZI DOGANALI ECC...

E CHE SAREBBE FACILISSIMO

NESSUNO FA NULLA !!!

INCREDIBILE!!!!

SALVIAMO 4 MORTI DI FAME (CON TUTTO RISPETTO) A 600 EURO/MESE E PERDIAMO LE SPECIALIZZAZIONI TIPICHE DEL NOSTRO PAESE!



.


#5 XCXC

XCXC

    TpX2MI

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Inviato 12 August 2012 - 03:19:18


Visualizza messaggioXCXC, su 26-Jul-2012 19:49, dice:

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A causa della globalizzazione senza regole voluta da gente come Prodi...

abbiamo perso i migliori maestri e operai specializzati compreso il know-how in diversi settori... da nord a sud (penso alle scarpe della riviera del brenta e pugliesi)

Stiamo esportando alta tecnologia in paesi in via di sviluppo senza che alcuno alzi un dito!

Nessuno si preoccupa del dumping cinese... (dove il governo paga persino le spedizioni ai prodotti da export)

L'imprenditore italiano... oltre ad essere tassato come nessuno... non ha avuto alcuna protezione dei mercati! E si importa tutto alla faccia della legalita'!

Tutto questo ha portato la disoccupazione e la crisi dell'Euro ben noti!

E DI COSA SI PREOCCUPANO 4 POLITICI RINKOGLIONITI?

DI SALVARE LA MISERA MANODOPERA DEI CALL-CENTER DEL SUD ITALIA!

IN PRATICA CERCA DI METTERE LE BRIGLIE ALL'IMPOSSIBILE PERCHE' LA RETE E LE TELECOMUNICAZIONI SONO IN PIENA ESPANSIONE E NN SI POTRANNO FERMARE !!!

INVECE DOVE E' POSSIBILE INTERVENIRE... SULLE MERCI... SULLA QUALITA'... SUI DAZI DOGANALI ECC...

E CHE SAREBBE FACILISSIMO

NESSUNO FA NULLA !!!

INCREDIBILE!!!!

SALVIAMO 4 MORTI DI FAME (CON TUTTO RISPETTO) A 600 EURO/MESE E PERDIAMO LE SPECIALIZZAZIONI TIPICHE DEL NOSTRO PAESE!





ITALIA SENZA FUTURO


- SARTORI SPARA CONTRO LA GLOBALIZZAZIONE CHE HA “ELIMINATO” IL LAVORO DAL MONDO OCCIDENTALE A FAVORE DI PAESI DOVE IL COSTO DELLA MANODOPERA E’ NIENTE


- “IN ITALIA L'INDUSTRIA HA PERSO, IN CINQUE ANNI, CIRCA 675 MILA POSTI DI LAVORO E LA PRODUZIONE SI È RIDOTTA DEL 20,5%”


- IL PESO INSOSTENIBILE DEL DEBITO PUBBLICO E IL DUBBIO PIU’ ATROCE: MAGGIORI RISORSE PER LE OPERE PUBBLICHE RISOLVEREBBERO DAVVERO IL PROBLEMA?...





Giovanni Sartori per il "Corriere della Sera"







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GIOVANNI SARTORI

Si dice che mancano i soldi. Ma prima di tutto manca il lavoro. Quale è il nesso?
Per tutto il Medioevo su su fino all'avvento della società industriale, a cavallo tra il Settecento e l'Ottocento, la ricchezza era soprattutto agricola, era prodotta dal lavoro dei contadini. Poi, con la società industriale, la ricchezza fu sempre più prodotta dalla macchina, e quindi dagli industriali e dagli addetti alle macchine, dagli operai. E le città si ingrandirono sempre più perché alimentate (in ricchezza) dal lavoro artigiano nelle botteghe e dal commercio, specialmente nelle città marinare.

Saltando i secoli, negli anni Sessanta, che furono anni di grande euforia, i sociologi diffusero l'idea che alla società industriale stava subentrando la «società dei servizi». E la società dei servizi era, appunto, una società post industriale, non più di macchine e di fabbriche ma di uffici.




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MARIO MONTI

La differenza più importante tra le due (nelle rispettive conseguenze) è che i conti della società industriale erano facili: sapevi sempre se e quanto guadagnavi o perdevi. Invece i conti della società dei servizi, e più esattamente la produttività dei servizi, è difficile da misurare. Anche per questo i servizi si sono man mano gonfiati molto più del necessario, diventando un rimedio per assorbire la disoccupazione, e per ciò stesso una entità parassitaria. Intanto le città si ingrandivano, le campagne si spopolavano, e anche gli addetti alla produzione industriale diminuivano.

Poteva durare? Forse a popolazione stabile sì.
Ma nel frattempo è esploso il vangelo della globalizzazione. Tutto il mondo economico diventa un mondo senza frontiere. Torna in auge la formula della scuola di Manchester: «Lasciar fare, lasciar passare». Per l'economia finanziaria è già così. Anche a non volere, le transazioni finanziarie non possono non essere globali. Ma per l'economia produttiva che produce beni e merci, e quindi l'economia che davvero fabbrica crescita e ricchezza, non è e non può essere così.

Oggi gli economisti si sono in buona maggioranza buttati sull'economia finanziaria, quella che arricchisce gli speculatori, Wall Street, le banche e, di riflesso, gli economisti che ne sono consiglieri. Semplifico così: l'economia finanziaria fa fare (e anche perdere) soldi, ma di suo produce soltanto carta, fino ad approdare, oggi, alla carta-spazzatura dei cosiddetti derivati.




Immagine inviata


italia crack ILMONDO




Torno alla globalizzazione, che sin dal 1993 ritenni un grave errore per questa ragione: che a parità di tecnologia (già allora il Giappone, ma poi man mano Cina, India e altri Paesi ancora) l'Occidente ad alto costo di lavoro era destinato a restare senza lavoro: e quindi che le cosiddette società industriali avanzate sarebbero diventate società senza industrie. La profezia era lapalissiana, e difatti si è già avverata in gran parte per i piccoli produttori (che però sono moltissimi).

I «grandi» (troppo grandi per poter fallire) si sono salvati inventando l'azienda glocal (una parola recente inventata ad hoc), in parte globale e in parte locale, che spezzetta la sua produzione magari con profitto, ma anche per salvare dal tracollo i Paesi industriali «anziani». In sintesi: la globalizzazione dell'economia industriale ci disoccupa, disloca il lavoro dove costa cinque-dieci volte meno. Possiamo trovare, già lo dicevo, importanti eccezioni a questa regola. Ma le statistiche parlano chiaro. In Italia l'industria ha perso, in cinque anni, circa 675 mila posti di lavoro e la produzione si è ridotta del 20,5 per cento (dati Cisl).

Ma il governo Monti - così come tutti i governi della zona euro che si sono indebitati oltre il lecito e il credibile - non affronta questo problema. Oggi come oggi non potrebbe nemmeno se lo volesse. È che noi abbiamo accumulato un debito pubblico salito al 123 per cento del Pil, del prodotto interno lordo, e cioè 1966 miliardi di euro.

Il che significa che il grosso delle entrate fiscali dello Stato è ipotecato in partenza: deve servire a pagare gli interessi su quel debito. Interessi che se salissero oltre il livello al quale sono, manderebbero lo Stato in bancarotta. Per di più lo Stato deve pagare il personale (eccessivo, ma c'è) che lo serve. E raschia ogni giorno il fondo del barile pagando i suoi stessi fornitori, a volte, addirittura con un anno di ritardo. Infine abbiamo la più alta pressione fiscale ma anche la più alta evasione fiscale (Grecia esclusa) dei Paesi euro.

Ma siamo ottimisti. Ammettiamo che il governo Monti riesca finalmente a decapitare gli sprechi e le ruberie del passato. Così si troverebbe ad avere soldi disponibili, che però (data l'alta disoccupazione, specialmente giovanile) dovrebbe investire in opere pubbliche (anch'esse, sia chiaro, necessarissime). Anche così, allora, i soldi da investire per produrre ricchezza e crescita continuerebbero a mancare. Oppure no? Qualche economista mi potrebbe aiutare a capire meglio?



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