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Tifiamo per Natalia Valeeva


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#1 Seborga

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Inviato 08 August 2008 - 07:37:36


La nostra atleta Italo-Moldava... :6:  


Natalia Valeeva, l’unica atleta di origini straniere specializzata in tiro con l’arco. Le sue frecce le hanno valso il settimo posto alle olimpiadi di Sidney e il 53esimo a quelle di Atene. Dal 2000 gareggia in maglia azzurra (a cui è arrivata dopo aver sposato un italiano) e inizierà la sua avventura a Pechino il 9 agosto all’ Olympic Green Archery Field.

In una carriera quasi ventennale ha partecipato a quattro Olimpiadi (Pechino sarò la quinta) con tre maglie diverse: la Comunità di Stati Indipendenti nel 1992 quando è salita due volte sul podio, la Moldova nel 1996 e dal 2000 la maglia azzurra. Natalia Valeeva arriva a Pechino da Campionessa del Mondo in carica di Tiro con l'Arco dopo il titolo conquistato a Lipsia la scorsa estate dopo aver superato in finale la coreana Park, rappresentante della scuola che continua a dominare la scena da anni. E' terza nel ranking mondiale dopo essere stata prima fino ad un mese fa.


Immagine inviata










L'azzurra Valeeva dall'oro mondiale alle Olimpiadi di Pechino: «Mio marito spinge perchè io smetta, forse è invidioso»
MARCO ANSALDO
Quando le chiediamo se il suo mestiere di atleta le renda bene, Natalia Valeeva offre il sorriso compassionevole che si dedica agli ingenui: «No, si guadagna pochissimo - dice - ma come casalinga non mi lamento». Lei, che è la campionessa del mondo di tiro con l’arco e tra le azzurre su cui l’Italia punterà a Pechino, ci gioca un po’ con questo ruolo della donna di casa, tra i fornelli e i letti da rifare, benché la sua immagine non corrisponda allo stereotipo della casalinga di Voghera che piace ai sondaggisti: bionda, graziosa, il piercing alla narice. Il fisico regge bene ai 38 anni e alle maternità sebbene in palestra possa andare sempre meno con un ragazzino di otto anni e due gemelle di 18 mesi per casa.

Natalia è in gara per il titolo europeo all’Oval di Torino, dove Fabris divenne un re delle Olimpiadi. Lei spera di sentirsi regina tra qualche mese. «Pechino sarà la mia quinta Olimpiade - spiega - e vi andrò pensando che sarà l’ultima, perché la prospettiva è di smettere. L’età non è un handicap nel tiro con l’arco, il problema è che mio marito spinge perché lasci perdere, con tre figli. Forse è un pochino invidioso perché lui ha smesso di gareggiare e fa un lavoro che non gli piace. E poi sa come sono possessivi i maschi italiani». Roberto Cocchi, il marito, era un bravo arciere della Nazionale agli inizi degli Anni Novanta. Natalia lo conobbe a una gara, in Georgia. Lei che è di Tiraspol, la capitale della Transnistria, la regione secessionista e filorussa della Moldavia dove sono rimaste in piedi le statue di Lenin, si preparava a vincere la medaglia di bronzo ai Giochi di Barcellona con il blocco ex sovietico della Comunità degli Stati Indipendenti. Dopo qualche anno si sposarono e, a Sydney, la Valeeva gareggiava già per l’Italia. «Avrei voluto conquistare un altro podio, non è arrivato. Ogni Olimpiade ha una sua storia. Ad Atlanta mi tradì la pressione, a Sydney arrivai tre mesi dopo aver partorito Stefano e mi presi pure la salmonella. Prima di Atene, invece, mi infortunai alla spalla, non c’era il tempo per operarmi e mi arrangiai. Da sana, avrei fatto più del settimo posto». E adesso? «Andrò a Pechino per ottenere il meglio, per vincere. Con l’idea che sia l’ultima occasione».

Natalia è un concentrato di situazioni nuove e importanti nello sport italiano al femminile. Quelle che non abbandonano per una maternità. Quelle che vincono un Mondiale pochi mesi dopo il parto. Le «casalinghe», come scherza la Valeeva. Donne toste, diciamo noi. «Prima che arrivassero i bambini - racconta - riservavo ogni attenzione al tiro con l’arco, adesso devo accettare i compromessi: gareggio molto meno, ad esempio l’anno scorso avrei potuto vincere la Coppa del Mondo, che vuol dire molti soldi, ero piazzata bene ma avevo promesso alla famiglia che saremmo andati al mare e non c’è stato verso di convincerli: sabbia, palette e secchielli, niente Coppa. Ho imparato cos’è la pazienza. Dovrei allenarmi due volte al giorno ma quando ho un figlio che sta male o va a una festa con gli amichetti, salto l’allenamento del pomeriggio in palestra, cerco di sopperire alla quantità del lavoro con la qualità, sfruttando i miei punti di forza». Quali? «Soprattutto la disciplina. In questo sono rimasta sovietica e molto poco italiana». Sul tavolo tiene un poliziesco di mille pagine. «Sa cosa è diventato per me lo sport?», chiede. «È anche un momento per staccare la spina. In ritiro, per le gare, ho finalmente qualche giorno per leggere, per dormire, per fare un minimo di shopping, per truccarmi con calma e non in due minuti come al solito. Poi però viene la gara e se non va bene mi incavolo di brutto, divento triste, tristissima». Come succede anche alle casalinghe. Senza l’arco.









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