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C' è modo e modo.
Started By
Rudy
, 07 Oct 2010 - 12:02:25
Questa discussione ha avuto 7 risposte
#1
Inviato 07 October 2010 - 12:02:25
Vorrei qui avviare un nuovo argomento che riguarda l' uso dei verbi.
L' elemento che piú conta in una frase è il verbo; non per nulla noi lo chiamiamo col termine latino "verbum", che significa "la parola"; infatti il verbo è la parola per eccellenza. Esso esprime un' azione o uno stato. Occorre un verbo perché una frase stia in piedi. Possiamo pure costruire una frase completa, composta dal solo verbo: Es. "andiamo", "piove".
Vi possono essere frasi in cui il verbo non si vede; ma è in qualche modo sottinteso; la sua presenza aleggia sullo sfondo. Es: "eccomi !", "io ! " (rispondendo alla domanda: "chi ha portato i panini?"). Altrimenti, come già detto, una frase non potrebbe stare in piedi.
Il verbo è un elemento variabile; si presenta in moltissime forme e sfaccettature, secondo le regole della coniugazione. È senz' altro l' elemento piú variabile nella grammatica della lingua; almeno di quella italiana.
Il verbo assume molte forme diverse, perché varia secondo numerosi parametri: il modo, il tempo, la persona, la diatesi (attiva, passiva, riflessiva), la concordanza (es.: visto, vista, viste, visti), e perfino l' aspetto (durativo, progressivo, conclusivo, ecc.).
Ci occupiamo qui dei MODI VERBALI, in particolare il congiuntivo ed il condizionale, con particolare riferimento alla costruzione del periodo ipotetico.
Chi padroneggia bene una lingua sa usare il modo giusto nella situazione giusta. Il "modo", lo dice la parola stessa, esprime il tipo di comunicazione, l' atteggiamento che noi abbiamo; insomma, il "modo" in cui ci poniamo nei confronti di chi ci ascolta o legge, oppure nei confronti di ciò che stiamo dicendo.
Per esempio: il modo imperativo si usa quando intendiamo agire sulla persona che ci ascolta, attraverso un ordine, un' esortazione o una preghiera ( es: "férmati!", "ascoltàtemi!")
L' indicativo esprime un fatto nella sua realtà, una constatazione obbiettiva. (es: i ragazzi studiavano). Il congiuntivo invece esprime un certo grado di allontanamento dalla realtà o dalla constatazione obbiettiva di qualcosa. Di fatto il congiuntivo contraddistingue un' azione o un processo in quanto desiderato, temuto, voluto, supposto (es: "se mi dessi retta!").
Il condizionale poi esprime un allontanamento ancora piú marcato dalla realtà o dall' obbiettività; esso sta ad indicare che quanto noi diciamo o scriviamo è sottoposto ad un condizionamento, reale o virtuale, perlopiú indipendente dalla volontà del soggetto; quindi spesso descrive dei fatti o situazioni totalmente ipotetici o irreali; cosa che succede quando la condizione non si verifica.
Es: "mi fermerei volentieri qui" significa che mi è gradito questo luogo; ma il fatto che io mi fermi o no è condizionato da qualcos' altro; quindi sto descrivendo una situazione puramente ipotetica. Tale situazione può essere reale, possibile o probabile, o totalmente irreale e perfino assurda; a seconda di quanto è plausibile o probabile il verificarsi della condizione (che in questo caso non è espressa). Per questo motivo il condizionale spesso descrive fatti, processi o situazioni che non si verificheranno mai. Insomma; è il modo tipico dei sogni.
Alcuni grammatici amano ricorrere ad una metafora, che dice piú o meno: l' indicativo è il modo della piena luce solare, il congiuntivo quello della foschia o dei colori sbiaditi; il condizionale invece è il modo della penombra e delle luci smorzate.
Il dubbio è talmente connaturato con questo modo verbale, che lo si usa anche semplicemente per instillare il dubbio nell' ascoltatore o lettore.
Es: " Il Presidente ha incontrato il Primo Ministro" al modo indicativo, significa che c' è stato un incontro.
Invece "Il Presidente avrebbe incontrato il Primo Ministro" al modo condizionale, significa che forse questa cosa è successa, ma non sappiamo esattamente se sia vero; si dice che ci sia stato questo incontro; corrono voci di corridoio; cosí si sussurra, ma un tale incontro rimane avvolto nel mistero. Notate dunque la raffinata potenza espressiva ed il carico di dubbi che si associano all' uso del modo condizionale.
PERIODO IPOTETICO
Nella sintassi un periodo è l' unione di piú frasi con un senso compiuto. Il periodo ipotetico è composto da due frasi e, per dirla in breve, descrive che cosa "succederebbe" (condizionale) se una certa condizione si "verificasse" (congiuntivo); ma può anche descrivere che cosa "succede" (indicativo) se la condizione si "verifica" (indicativo).
Ci rendiamo conto cosí che esistono due modi per costruire il periodo ipotetico.
A. il modo familiare, colloquiale, discorsivo e semplice, che usa l' indicativo per entrambe le frasi; Es. "se lo incontro, gli parlo".
B. il modo colto, classico, formale, che usa il congiuntivo in una frase ed il condizionale nell' altra; Es. "se lo incontrassi, gli parlerei".
Ovviamente, chi si avvicina alla lingua trova maggiore facilità ad apprendere il modo semplice e familiare. Ad esempio, è quasi impossibile trovare la costruzione di tipo formale nel linguaggio dei bambini. Lo stesso vale perlopiú anche per gli stranieri.
Ma chi vuole elevare il proprio grado di conoscenza della lingua, deve cimentarsi prima o poi nella costruzione formale e classica del periodo ipotetico.
L' uso corretto dei modi congiuntivo e condizionale è uno quegli specifici criteri con cui si contraddistingue "chi sa parlare bene" la lingua da chi non la parla altrettanto bene.
Altri criteri interessanti, a mio personale avviso, sono: - il saper usare correttamente il tempo passato remoto; - il saper usare correttamente il linguaggio formale e garbato (uso del congiuntivo al posto dell' imperativo, del pronome personale "lei" al posto del "tu", della terza persona al posto della seconda, ecc.)
Chi sa usare questi criteri con proprietà, viene istintivamente visto come persona colta e raffinata; chi non li padroneggia correttamente è una persona che sta ancora imparando la lingua (es. bambini, stranieri, ecc); oppure è una causa perduta; cioè qualcuno che, nonostante i lunghi anni di scuola, non è mai riuscito ad apprendere fino in fondo la grammatica e la sintassi, per sua colpa o per colpa della scuola, viste le condizioni in cui oggi si trova.
Non c' è situazione piú comica di chi tenta di usare il linguaggio formale senza conoscerlo perfettamente. È il caso classico del rag. Fantozzi, il personaggio comico che dice sempre: "venghi, vadi, mi dii, ecc."
Qualcuno mi deve ricordare di scrivere un intervento sul linguaggio formale e cortese e sul corretto modo di rivolgersi a persone, anche sconosciute. Si tratta di un argomento particolarmente interessante, soprattutto per gli stranieri; perché l' uso o non uso del linguaggio cortese può comportare a mio avviso un' indistinta e forse inavvertita forma di discriminazione; tanto piú subdola in quanto molti la praticano senza neppure rendersene conto. Si tratta forse della piú raffinata forma di discriminazione; almeno questa è la mia sensazione.
Detto questo, e per ritornare al nostro argomento, va ricordato che i due modi di costruire il periodo ipotetico non sono perfettamente identici ed intercambiabili; ma esprimono atteggiamenti molto diversi rispetto alla situazione che stiamo descrivendo.
Nei due esempi visti sopra, il primo, "se lo incontro, gli parlo", esprime una situazione praticamente certa, che quasi sicuramente si verificherà; rimane solo da stabilire il momento. Al posto della congiunzione "se", potremmo anche usare l' avverbio "quando", senza cambiarne di molto il significato. Pertanto la prima delle due frasi, piú che una condizione, indica il momento in cui si verificherà un' azione, la quale è praticamente certa.
Per questo motivo, la costruzione "semplice" viene anche definita come "periodo ipotetico della realtà", ossia con un' ipotesi che non è nemmeno tanto un' ipotesi, ma quasi una certezza.
Il secondo esempio invece ("se lo incontrassi, gli parlerei") esprime davvero un' ipotesi. il nostro atteggiamento è quello di chi non sa se questa ipotesi si verificherà o no; l' azione può realizzarsi presto, tardi oppure mai e rimanere quindi soltanto teorica, ipotetica appunto.
Anche per questo, e non solo per dimostrare che "sappiamo parlare bene", è necessario imparare ad usare il periodo ipotetico di tipo "formale".
Occorre provare e riprovare spesso per apprendere l' uso del modo condizionale con i suoi due tempi e soprattutto del congiuntivo, che ne ha quattro e si usa anche in molti altri tipi di frasi, non solo nel periodo ipotetico.
Tanto per iniziare un pochino a capirli, si possono visitare questi indirizzi:
http://it.wikipedia....ki/Condizionale
http://it.wikipedia....iki/Congiuntivo
I grammatici poi distinguono anche un periodo ipotetico della possibilità e uno detto della irrealtà, perché quest' ultimo esprime un' ipotesi che chiaramente non succederà mai; o, piú spesso, sappiamo già che non ha potuto realizzarsi nel passato. Per me si tratta soprattutto di una distinzione di tempi; ma chi volesse una descrizione particolareggiata dei termini, può visitare questa pagina:
http://it.wikipedia....riodo_ipotetico
Tecnicamente le due frasi che compongono il periodo ipotetico vengono designate con due termini greci. Questo è logico, perché i greci sono stati i primi a studiare scientificamente la lingua, la grammatica, la sintassi, ecc.
In termini tecnici, la condizione, o premessa, viene chiamata "pròtasi" (non pròtesi, eh.). La frase principale invece, ovvero quella che esprime ciò che avviene quando la condizione si verifica (o meglio: ciò che avverrebbe qualora la condizione si verificasse), si chiama "apòdosi".
ATTENZIONE ! Nella protasi, cioè nella frase che esprime la condizione, si usa il modo congiuntivo; mentre il condizionale si usa nell' apodosi. Non bisogna lasciarsi trarre in inganno dal nome. "Condizionale" significa che esprime un' azione o situazione condizionata, cioè ipotetica; non esprime la condizione stessa: per quella si usa il congiuntivo.
ATTENZIONE ! La protasi non è la frase "che viene prima" e l' apodosi non è "la frase che viene dopo". In realtà non c' è un ordine prestabilito. Ciascuna può stare prima o dopo, a seconda dell' effetto che vogliamo dare al discorso.
Si può dire: "se fossi partito con voi, avrei potuto visitare Roma", oppure " avrei potuto visitare Roma, se fossi partito con voi".
L' Italiano ha ereditato dal Latino la possibilità di scambiare tra loro frasi e termini all' interno di una stessa frase, attribuendo maggiore enfasi all' elemento che viene dopo (alla fine). Quindi i due periodi di cui sopra non sono perfettamente identici:
il primo sottolinea il fatto che mi sono perso una visita a questa città; il secondo sottolinea invece che in realtà non sono venuto insieme a voi. Questi sono esempi di sfumature con le quali si può caratterizzare il discorso; ma dal punto di vista del periodo ipotetico la costruzione è la stessa.
ATTENZIONE ! Molti Italiani dimostrano una tale avversione per la costruzione del periodo ipotetico di tipo classico, che tendono a non adoperarlo nemmeno là dove è assolutamente necessario. Per non fare brutte figure, mostrando di non saperlo usare, e comunque pur di evitarlo, ricorrono a delle costruzioni che potremmo definire "dialettali", ma in ogni caso scorrette; come l' uso del tempo indicativo imperfetto per costruire il periodo ipotetico della irrealtà.
Si tratta di un' abitudine che ormai si è purtroppo diffusa nella lingua parlata, soprattutto nelle regioni del nord; ma che rimane, ripetiamolo, un modo di parlare "scorretto". Es.: "Se mi avvertivi, venivo anch' io". Corretto è invece: "Se mi avessi avvertito/a, sarei venuto/a anch' io".
Chi usa sempre questo linguaggio colloquiale, si presenta come un "amicone" in qualunque circostanza; ma in determinate situazioni di tipo piú formale o di cortesia, rivela la sua bassa caratura linguistica.
Se potete, evitate di prendere esempio da questi Italiani; ma prendetevi piuttosto la briga di imparare ad usare le forme linguistiche piú precise, corrette, raffinate ed eleganti.
Infine ricordiamo che il periodo ipotetico è "il regno dei se", cioè delle ipotesi rette dalla congiunzione "se", di cui abbiamo discusso altrove; ma questa non è l' unica ad introdurre la protasi. A volte si possono trovare le varianti: "se anche, sebbene, semmai o seppure".
Altre forme che si possono incontrare sono: "casomai" e "putacaso", o anche l' avverbio "eventualmente".
Es.: "casomai ci perdessimo, percorreremmo la stessa strada a ritroso".
Interessanti sono le alternative piú ricercate: "quand' anche o quandanche (piú antica quand' anco)", e "qualora", che viene spesso usata nel linguaggio formale.
Es.: "quand' anche si presentasse un solo spettatore, lo spettacolo inizierebbe in ogni caso".
Notiamo che è impossibile costruire il periodo ipotetico "semplice" usando queste forme colte, perché non si prestano ad un linguaggio colloquiale. Sarebbe ridicolo scrivere: "qualora vi capita di visitare l' Italia, siamo contenti di ospitarvi". Obbligatorio è: "qualora vi capitasse di visitare l' Italia, saremmo lieti di ospitarvi".
Si può inoltre introdurre il periodo ipotetico ricorrendo a locuzioni come: nel caso in cui, nella misura in cui, a patto che, posto che, ammesso che o ammettendo che, nell' ipotesi che, ecc. Es.: "nel caso in cui fossimo tutti d' accordo, potremmo ritrovarci a cena"; oppure, riferendosi al passato: "ammesso che fossimo stati tutti d' accordo, avremmo potuto ritrovarci a cena".
Non spaventiamoci per la complessità delle frasi; cerchiamo piuttosto di cogliere ed apprezzare le sfumature del linguaggio !
e se non piangi, di che pianger suoli?
#2
Inviato 07 October 2010 - 13:43:53
Rudy, su 7-Oct-2010 13:02, dice:
Vorrei qui avviare un nuovo argomento che riguarda l' uso dei verbi.
L' elemento che piú conta in una frase è il verbo; non per nulla noi lo chiamiamo col termine latino "verbum", che significa "la parola"; infatti il verbo è la parola per eccellenza. Esso esprime un' azione o uno stato. Occorre un verbo perché una frase stia in piedi. Possiamo pure costruire una frase completa, composta dal solo verbo: Es. "andiamo", "piove".
Vi possono essere frasi in cui il verbo non si vede; ma è in qualche modo sottinteso; la sua presenza aleggia sullo sfondo. Es: "eccomi !", "io ! " (rispondendo alla domanda: "chi ha portato i panini?"). Altrimenti, come già detto, una frase non potrebbe stare in piedi.
Il verbo è un elemento variabile; si presenta in moltissime forme e sfaccettature, secondo le regole della coniugazione. È senz' altro l' elemento piú variabile nella grammatica della lingua; almeno di quella italiana.
Il verbo assume molte forme diverse, perché varia secondo numerosi parametri: il modo, il tempo, la persona, la diatesi (attiva, passiva, riflessiva), la concordanza (es.: visto, vista, viste, visti), e perfino l' aspetto (durativo, progressivo, conclusivo, ecc.).
Ci occupiamo qui dei MODI VERBALI, in particolare il congiuntivo ed il condizionale, con particolare riferimento alla costruzione del periodo ipotetico.
Chi padroneggia bene una lingua sa usare il modo giusto nella situazione giusta. Il "modo", lo dice la parola stessa, esprime il tipo di comunicazione, l' atteggiamento che noi abbiamo; insomma, il "modo" in cui ci poniamo nei confronti di chi ci ascolta o legge, oppure nei confronti di ciò che stiamo dicendo.
Per esempio: il modo imperativo si usa quando intendiamo agire sulla persona che ci ascolta, attraverso un ordine, un' esortazione o una preghiera ( es: "férmati!", "ascoltàtemi!")
L' indicativo esprime un fatto nella sua realtà, una constatazione obbiettiva. (es: i ragazzi studiavano). Il congiuntivo invece esprime un certo grado di allontanamento dalla realtà o dalla constatazione obbiettiva di qualcosa. Di fatto il congiuntivo contraddistingue un' azione o un processo in quanto desiderato, temuto, voluto, supposto (es: "se mi dessi retta!").
Il condizionale poi esprime un allontanamento ancora piú marcato dalla realtà o dall' obbiettività; esso sta ad indicare che quanto noi diciamo o scriviamo è sottoposto ad un condizionamento, reale o virtuale, perlopiú indipendente dalla volontà del soggetto; quindi spesso descrive dei fatti o situazioni totalmente ipotetici o irreali; cosa che succede quando la condizione non si verifica.
Es: "mi fermerei volentieri qui" significa che mi è gradito questo luogo; ma il fatto che io mi fermi o no è condizionato da qualcos' altro; quindi sto descrivendo una situazione puramente ipotetica. Tale situazione può essere reale, possibile o probabile, o totalmente irreale e perfino assurda; a seconda di quanto è plausibile o probabile il verificarsi della condizione (che in questo caso non è espressa). Per questo motivo il condizionale spesso descrive fatti, processi o situazioni che non si verificheranno mai. Insomma; è il modo tipico dei sogni.
Alcuni grammatici amano ricorrere ad una metafora, che dice piú o meno: l' indicativo è il modo della piena luce solare, il congiuntivo quello della foschia o dei colori sbiaditi; il condizionale invece è il modo della penombra e delle luci smorzate.
Il dubbio è talmente connaturato con questo modo verbale, che lo si usa anche semplicemente per instillare il dubbio nell' ascoltatore o lettore.
Es: " Il Presidente ha incontrato il Primo Ministro" al modo indicativo, significa che c' è stato un incontro.
Invece "Il Presidente avrebbe incontrato il Primo Ministro" al modo condizionale, significa che forse questa cosa è successa, ma non sappiamo esattamente se sia vero; si dice che ci sia stato questo incontro; corrono voci di corridoio; cosí si sussurra, ma un tale incontro rimane avvolto nel mistero. Notate dunque la raffinata potenza espressiva ed il carico di dubbi che si associano all' uso del modo condizionale.
PERIODO IPOTETICO
Nella sintassi un periodo è l' unione di piú frasi con un senso compiuto. Il periodo ipotetico è composto da due frasi e, per dirla in breve, descrive che cosa "succederebbe" (condizionale) se una certa condizione si "verificasse" (congiuntivo); ma può anche descrivere che cosa "succede" (indicativo) se la condizione si "verifica" (indicativo).
Ci rendiamo conto cosí che esistono due modi per costruire il periodo ipotetico.
A. il modo familiare, colloquiale, discorsivo e semplice, che usa l' indicativo per entrambe le frasi; Es. "se lo incontro, gli parlo".
B. il modo colto, classico, formale, che usa il congiuntivo in una frase ed il condizionale nell' altra; Es. "se lo incontrassi, gli parlerei".
Ovviamente, chi si avvicina alla lingua trova maggiore facilità ad apprendere il modo semplice e familiare. Ad esempio, è quasi impossibile trovare la costruzione di tipo formale nel linguaggio dei bambini. Lo stesso vale perlopiú anche per gli stranieri.
Ma chi vuole elevare il proprio grado di conoscenza della lingua, deve cimenarsi prima o poi nella costruzione formale e classica del periodo ipotetico.
L' uso corretto dei modi congiuntivo e condizionale è uno quegli specifici criteri con cui si contraddistingue "chi sa parlare bene" la lingua da chi non la parla altrettanto bene.
Altri criteri interessanti, a mio personale avviso, sono: - il saper usare correttamente il tempo passato remoto; - il saper usare correttamente il linguaggio formale e garbato (uso del congiuntivo al posto dell' imperativo, del pronome personale "lei" al posto del "tu", della terza persona al posto della seconda, ecc.)
Chi sa usare questi criteri con proprietà, viene istintivamente visto come persona colta e raffinata; chi non li padroneggia correttamente è una persona che sta ancora imparando la lingua (es. bambini, stranieri, ecc); oppure è una causa perduta; cioè qualcuno che, nonostante i lunghi anni di scuola, non è mai riuscito ad apprendere fino in fondo la grammatica e la sintassi, per sua colpa o per colpa della scuola, viste le condizioni in cui oggi si trova.
Non c' è situazione piú comica di chi tenta di usare il linguaggio formale senza conoscerlo perfettamente. È il caso classico del rag. Fantozzi, il personaggio comico che dice sempre: "venghi, vadi, mi dii, ecc."
Qualcuno mi deve ricordare di scrivere un intervento sul linguaggio formale e cortese e sul corretto modo di rivolgersi a persone, anche sconosciute. Si tratta di un argomento particolarmente interessante, soprattutto per gli stranieri; perché l' uso o non uso del linguaggio cortese può comportare a mio avviso un' indistinta e forse inavvertita forma di discriminazione; tanto piú subdola in quanto molti la praticano senza neppure rendersene conto. Si tratta forse della piú raffinata forma di discriminazione; almeno questa è la mia sensazione.
Detto questo, e per ritornare al nostro argomento, va ricordato che i due modi di costruire il periodo ipotetico non sono perfettamente identici ed intercambiabili; ma esprimodo atteggiamenti molto diversi rispetto alla situazione che stiamo descrivendo.
Nei due esempi visti sopra, il primo, "se lo incontro, gli parlo", esprime una situazione praticamente certa, che quasi sicuramente si verificherà; rimane solo da stabilire il momento. Al posto della congiunzione "se", potremmo anche usare l' avverbio "quando", senza cambiarne di molto il significato. Pertanto la prima delle due frasi, piú che una condizione, indica il momento in cui si verificherà un' azione, la quale è praticamente certa.
Per questo motivo, la costruzione "semplice" viene anche definita come "periodo ipotetico della realtà", ossia con un' ipotesi che non è nemmeno tanto un' ipotesi, ma quasi una certezza.
Il secondo esempio invece ("se lo incontrassi, gli parlerei") esprime davvero un' ipotesi. il nostro atteggiamento è quello di chi non sa se questa ipotesi si verificherà o no; l' azione può realizzarsi presto, tardi oppure mai e rimanere quindi soltanto teorica, ipotetica appunto.
Per questo motivo quindi, e non solo per dimostrare che "sappiamo parlare bene", è necessario imparare ad usare il periodo ipotetico di tipo "formale".
Occorre provare e riprovare spesso per apprendere l' uso del modo condizionale con i suoi due tempi e soprattutto del congiuntivo, che ne ha quattro e si usa anche in molti altri tipi di frasi, non solo nel periodo ipotetico.
Tanto per iniziare un pochino a capirli, si possono visitare questi indirizzi:
http://it.wikipedia....ki/Condizionale
http://it.wikipedia....iki/Congiuntivo
I grammatici poi distinguono anche un periodo ipotetico della possibilità e uno detto della irrealtà, perché quest' ultimo esprime un' ipotesi che chiaramente non succederà mai; o, piú spesso, sappiamo già che non ha potuto realizzarsi nel passato. Per me si tratta soprattutto di una distinzione di tempi; ma chi volesse una descrizione particolareggiata dei termini, può visitare questa pagina:
http://it.wikipedia....riodo_ipotetico
Tecnicamente le due frasi che compongono il periodo ipotetico vengono designate con due termini greci. Questo è logico, perché i greci sono stati i primi a studiare scientificamente la lingua, la grammatica, la sintassi, ecc.
In termini tecnici, la condizione, o premessa, viene chiamata "pròtasi" (non pròtesi, eh.). La frase principale invece, ovvero quella che esprime ciò che avviene quando la condizione si verifica (o meglio: ciò che avverrebbe qualora la condizione si verificasse), si chiama "apòdosi".
ATTENZIONE ! Nella protasi, cioè nella frase che esprime la condizione, si usa il modo congiuntivo; mentre il condizionale si usa nell' apodosi. Non bisogna lasciarsi trarre in inganno dal nome. "Condizionale" significa che esprime un' azione o situazione condizionata, cioè ipotetica; non esprime la condizione stessa: per quella si usa il congiuntivo.
ATTENZIONE ! La protasi non è la frase "che viene prima" e l' apodosi non è "la frase che viene dopo". In realtà non c' è un ordine prestabilito. Ciascuna può stare prima o dopo, a seconda dell' effetto che vogliamo dare alla frase.
Si può dire: "se fossi partito con voi, avrei potuto visitare Roma", oppure " avrei potuto visitare Roma, se fossi partito con voi".
L' Italiano ha ereditato dal Latino la possibilità di scambiare tra loro frasi e termini all' interno di una stessa frase, attribuendo maggiore enfasi all' elemento che viene dopo (alla fine). Quindi i due periodi di cui sopra non sono perfettamente identici:
il primo sottolinea il fatto che mi sono perso una visita a questa città; il secondo sottolinea invece che in realtà non sono venuto insieme a voi. Questi sono esempi di sfumature con le quali si può caratterizzare il discorso; ma dal punto di vista del periodo ipotetico la costruzione è la stessa.
ATTENZIONE ! Molti Italiani dimostrano una tale avversione per la costruzione del periodo ipotetico di tipo classico, che tendono a non adoperarlo nemmeno là dove è assolutamente necessario. Per non fare brutte figure, mostrando di non saperlo usare, e comunque pur di evitarlo, ricorrono a delle costruzioni che potremmo definire "dialettali", ma in ogni caso scorrette; come l' uso del tempo indicativo imperfetto per costruire il periodo ipotetico della irrealtà.
Si tratta di un' abitudine che ormai si è purtroppo diffusa nella lingua parlata, soprattutto nelle regioni del nord; ma che rimane, ripetiamolo, un modo di parlare "scorretto". Es.: "Se mi avvertivi, venivo anch' io". Corretto è invece: "Se mi avessi avvertito/a, sarei venuto/a anch' io".
Chi usa sempre questo linguaggio colloquiale, si presenta come un "amicone" in qualunque circostanza; ma in determinate situazioni di tipo piú formale o di cortesia, rivela la sua bassa caratura linguistica.
Se potete, evitate di prendere esempio da questi Italiani; ma prendetevi piuttosto la briga di imparare ad usare le forme linguistiche piú precise, corrette, raffinate ed eleganti.
Infine ricordiamo che il periodo ipotetico è "il regno dei se", cioè delle ipotesi rette dalla congiunzione "se", di cui abbiamo discusso altrove; ma questa non è l' unica ad introdurre la protasi. A volte si possono trovare le varianti: se anche, sebbene, semmai o seppure. Interessante è l' alternativa piú colta e forbita: "qualora".
Notiamo che è impossibile costruire il periodo ipotetico "semplice" con la congiunzione "qualora", perché questa non si presta ad un linguaggio colloquiale. Sarebbe ridicolo scrivere: "qualora vi capita di visitare l' Italia, siamo contenti di ospitarvi". Obbligatorio è: "qualora vi capitasse di visitare l' Italia, saremmo lieti di ospitarvi".
Si può inoltre introdurre il periodo ipotetico ricorrendo a locuzioni come: nel caso in cui, nella misura in cui, a patto che, ammesso che o ammettendo che, nell' ipotesi che, ecc. Es.: " nel caso in cui fossimo tutti d' accordo, potremmo ritrovarci a cena", oppure: "ammesso che fossimo stati tutti d' accordo, avremmo potuto ritrovarci a cena".
Non spaventiamoci per la complessità delle frasi; cerchiamo piuttosto di cogliere ed apprezzare le sfumature del linguaggio !
L' elemento che piú conta in una frase è il verbo; non per nulla noi lo chiamiamo col termine latino "verbum", che significa "la parola"; infatti il verbo è la parola per eccellenza. Esso esprime un' azione o uno stato. Occorre un verbo perché una frase stia in piedi. Possiamo pure costruire una frase completa, composta dal solo verbo: Es. "andiamo", "piove".
Vi possono essere frasi in cui il verbo non si vede; ma è in qualche modo sottinteso; la sua presenza aleggia sullo sfondo. Es: "eccomi !", "io ! " (rispondendo alla domanda: "chi ha portato i panini?"). Altrimenti, come già detto, una frase non potrebbe stare in piedi.
Il verbo è un elemento variabile; si presenta in moltissime forme e sfaccettature, secondo le regole della coniugazione. È senz' altro l' elemento piú variabile nella grammatica della lingua; almeno di quella italiana.
Il verbo assume molte forme diverse, perché varia secondo numerosi parametri: il modo, il tempo, la persona, la diatesi (attiva, passiva, riflessiva), la concordanza (es.: visto, vista, viste, visti), e perfino l' aspetto (durativo, progressivo, conclusivo, ecc.).
Ci occupiamo qui dei MODI VERBALI, in particolare il congiuntivo ed il condizionale, con particolare riferimento alla costruzione del periodo ipotetico.
Chi padroneggia bene una lingua sa usare il modo giusto nella situazione giusta. Il "modo", lo dice la parola stessa, esprime il tipo di comunicazione, l' atteggiamento che noi abbiamo; insomma, il "modo" in cui ci poniamo nei confronti di chi ci ascolta o legge, oppure nei confronti di ciò che stiamo dicendo.
Per esempio: il modo imperativo si usa quando intendiamo agire sulla persona che ci ascolta, attraverso un ordine, un' esortazione o una preghiera ( es: "férmati!", "ascoltàtemi!")
L' indicativo esprime un fatto nella sua realtà, una constatazione obbiettiva. (es: i ragazzi studiavano). Il congiuntivo invece esprime un certo grado di allontanamento dalla realtà o dalla constatazione obbiettiva di qualcosa. Di fatto il congiuntivo contraddistingue un' azione o un processo in quanto desiderato, temuto, voluto, supposto (es: "se mi dessi retta!").
Il condizionale poi esprime un allontanamento ancora piú marcato dalla realtà o dall' obbiettività; esso sta ad indicare che quanto noi diciamo o scriviamo è sottoposto ad un condizionamento, reale o virtuale, perlopiú indipendente dalla volontà del soggetto; quindi spesso descrive dei fatti o situazioni totalmente ipotetici o irreali; cosa che succede quando la condizione non si verifica.
Es: "mi fermerei volentieri qui" significa che mi è gradito questo luogo; ma il fatto che io mi fermi o no è condizionato da qualcos' altro; quindi sto descrivendo una situazione puramente ipotetica. Tale situazione può essere reale, possibile o probabile, o totalmente irreale e perfino assurda; a seconda di quanto è plausibile o probabile il verificarsi della condizione (che in questo caso non è espressa). Per questo motivo il condizionale spesso descrive fatti, processi o situazioni che non si verificheranno mai. Insomma; è il modo tipico dei sogni.
Alcuni grammatici amano ricorrere ad una metafora, che dice piú o meno: l' indicativo è il modo della piena luce solare, il congiuntivo quello della foschia o dei colori sbiaditi; il condizionale invece è il modo della penombra e delle luci smorzate.
Il dubbio è talmente connaturato con questo modo verbale, che lo si usa anche semplicemente per instillare il dubbio nell' ascoltatore o lettore.
Es: " Il Presidente ha incontrato il Primo Ministro" al modo indicativo, significa che c' è stato un incontro.
Invece "Il Presidente avrebbe incontrato il Primo Ministro" al modo condizionale, significa che forse questa cosa è successa, ma non sappiamo esattamente se sia vero; si dice che ci sia stato questo incontro; corrono voci di corridoio; cosí si sussurra, ma un tale incontro rimane avvolto nel mistero. Notate dunque la raffinata potenza espressiva ed il carico di dubbi che si associano all' uso del modo condizionale.
PERIODO IPOTETICO
Nella sintassi un periodo è l' unione di piú frasi con un senso compiuto. Il periodo ipotetico è composto da due frasi e, per dirla in breve, descrive che cosa "succederebbe" (condizionale) se una certa condizione si "verificasse" (congiuntivo); ma può anche descrivere che cosa "succede" (indicativo) se la condizione si "verifica" (indicativo).
Ci rendiamo conto cosí che esistono due modi per costruire il periodo ipotetico.
A. il modo familiare, colloquiale, discorsivo e semplice, che usa l' indicativo per entrambe le frasi; Es. "se lo incontro, gli parlo".
B. il modo colto, classico, formale, che usa il congiuntivo in una frase ed il condizionale nell' altra; Es. "se lo incontrassi, gli parlerei".
Ovviamente, chi si avvicina alla lingua trova maggiore facilità ad apprendere il modo semplice e familiare. Ad esempio, è quasi impossibile trovare la costruzione di tipo formale nel linguaggio dei bambini. Lo stesso vale perlopiú anche per gli stranieri.
Ma chi vuole elevare il proprio grado di conoscenza della lingua, deve cimenarsi prima o poi nella costruzione formale e classica del periodo ipotetico.
L' uso corretto dei modi congiuntivo e condizionale è uno quegli specifici criteri con cui si contraddistingue "chi sa parlare bene" la lingua da chi non la parla altrettanto bene.
Altri criteri interessanti, a mio personale avviso, sono: - il saper usare correttamente il tempo passato remoto; - il saper usare correttamente il linguaggio formale e garbato (uso del congiuntivo al posto dell' imperativo, del pronome personale "lei" al posto del "tu", della terza persona al posto della seconda, ecc.)
Chi sa usare questi criteri con proprietà, viene istintivamente visto come persona colta e raffinata; chi non li padroneggia correttamente è una persona che sta ancora imparando la lingua (es. bambini, stranieri, ecc); oppure è una causa perduta; cioè qualcuno che, nonostante i lunghi anni di scuola, non è mai riuscito ad apprendere fino in fondo la grammatica e la sintassi, per sua colpa o per colpa della scuola, viste le condizioni in cui oggi si trova.
Non c' è situazione piú comica di chi tenta di usare il linguaggio formale senza conoscerlo perfettamente. È il caso classico del rag. Fantozzi, il personaggio comico che dice sempre: "venghi, vadi, mi dii, ecc."
Qualcuno mi deve ricordare di scrivere un intervento sul linguaggio formale e cortese e sul corretto modo di rivolgersi a persone, anche sconosciute. Si tratta di un argomento particolarmente interessante, soprattutto per gli stranieri; perché l' uso o non uso del linguaggio cortese può comportare a mio avviso un' indistinta e forse inavvertita forma di discriminazione; tanto piú subdola in quanto molti la praticano senza neppure rendersene conto. Si tratta forse della piú raffinata forma di discriminazione; almeno questa è la mia sensazione.
Detto questo, e per ritornare al nostro argomento, va ricordato che i due modi di costruire il periodo ipotetico non sono perfettamente identici ed intercambiabili; ma esprimodo atteggiamenti molto diversi rispetto alla situazione che stiamo descrivendo.
Nei due esempi visti sopra, il primo, "se lo incontro, gli parlo", esprime una situazione praticamente certa, che quasi sicuramente si verificherà; rimane solo da stabilire il momento. Al posto della congiunzione "se", potremmo anche usare l' avverbio "quando", senza cambiarne di molto il significato. Pertanto la prima delle due frasi, piú che una condizione, indica il momento in cui si verificherà un' azione, la quale è praticamente certa.
Per questo motivo, la costruzione "semplice" viene anche definita come "periodo ipotetico della realtà", ossia con un' ipotesi che non è nemmeno tanto un' ipotesi, ma quasi una certezza.
Il secondo esempio invece ("se lo incontrassi, gli parlerei") esprime davvero un' ipotesi. il nostro atteggiamento è quello di chi non sa se questa ipotesi si verificherà o no; l' azione può realizzarsi presto, tardi oppure mai e rimanere quindi soltanto teorica, ipotetica appunto.
Per questo motivo quindi, e non solo per dimostrare che "sappiamo parlare bene", è necessario imparare ad usare il periodo ipotetico di tipo "formale".
Occorre provare e riprovare spesso per apprendere l' uso del modo condizionale con i suoi due tempi e soprattutto del congiuntivo, che ne ha quattro e si usa anche in molti altri tipi di frasi, non solo nel periodo ipotetico.
Tanto per iniziare un pochino a capirli, si possono visitare questi indirizzi:
http://it.wikipedia....ki/Condizionale
http://it.wikipedia....iki/Congiuntivo
I grammatici poi distinguono anche un periodo ipotetico della possibilità e uno detto della irrealtà, perché quest' ultimo esprime un' ipotesi che chiaramente non succederà mai; o, piú spesso, sappiamo già che non ha potuto realizzarsi nel passato. Per me si tratta soprattutto di una distinzione di tempi; ma chi volesse una descrizione particolareggiata dei termini, può visitare questa pagina:
http://it.wikipedia....riodo_ipotetico
Tecnicamente le due frasi che compongono il periodo ipotetico vengono designate con due termini greci. Questo è logico, perché i greci sono stati i primi a studiare scientificamente la lingua, la grammatica, la sintassi, ecc.
In termini tecnici, la condizione, o premessa, viene chiamata "pròtasi" (non pròtesi, eh.). La frase principale invece, ovvero quella che esprime ciò che avviene quando la condizione si verifica (o meglio: ciò che avverrebbe qualora la condizione si verificasse), si chiama "apòdosi".
ATTENZIONE ! Nella protasi, cioè nella frase che esprime la condizione, si usa il modo congiuntivo; mentre il condizionale si usa nell' apodosi. Non bisogna lasciarsi trarre in inganno dal nome. "Condizionale" significa che esprime un' azione o situazione condizionata, cioè ipotetica; non esprime la condizione stessa: per quella si usa il congiuntivo.
ATTENZIONE ! La protasi non è la frase "che viene prima" e l' apodosi non è "la frase che viene dopo". In realtà non c' è un ordine prestabilito. Ciascuna può stare prima o dopo, a seconda dell' effetto che vogliamo dare alla frase.
Si può dire: "se fossi partito con voi, avrei potuto visitare Roma", oppure " avrei potuto visitare Roma, se fossi partito con voi".
L' Italiano ha ereditato dal Latino la possibilità di scambiare tra loro frasi e termini all' interno di una stessa frase, attribuendo maggiore enfasi all' elemento che viene dopo (alla fine). Quindi i due periodi di cui sopra non sono perfettamente identici:
il primo sottolinea il fatto che mi sono perso una visita a questa città; il secondo sottolinea invece che in realtà non sono venuto insieme a voi. Questi sono esempi di sfumature con le quali si può caratterizzare il discorso; ma dal punto di vista del periodo ipotetico la costruzione è la stessa.
ATTENZIONE ! Molti Italiani dimostrano una tale avversione per la costruzione del periodo ipotetico di tipo classico, che tendono a non adoperarlo nemmeno là dove è assolutamente necessario. Per non fare brutte figure, mostrando di non saperlo usare, e comunque pur di evitarlo, ricorrono a delle costruzioni che potremmo definire "dialettali", ma in ogni caso scorrette; come l' uso del tempo indicativo imperfetto per costruire il periodo ipotetico della irrealtà.
Si tratta di un' abitudine che ormai si è purtroppo diffusa nella lingua parlata, soprattutto nelle regioni del nord; ma che rimane, ripetiamolo, un modo di parlare "scorretto". Es.: "Se mi avvertivi, venivo anch' io". Corretto è invece: "Se mi avessi avvertito/a, sarei venuto/a anch' io".
Chi usa sempre questo linguaggio colloquiale, si presenta come un "amicone" in qualunque circostanza; ma in determinate situazioni di tipo piú formale o di cortesia, rivela la sua bassa caratura linguistica.
Se potete, evitate di prendere esempio da questi Italiani; ma prendetevi piuttosto la briga di imparare ad usare le forme linguistiche piú precise, corrette, raffinate ed eleganti.
Infine ricordiamo che il periodo ipotetico è "il regno dei se", cioè delle ipotesi rette dalla congiunzione "se", di cui abbiamo discusso altrove; ma questa non è l' unica ad introdurre la protasi. A volte si possono trovare le varianti: se anche, sebbene, semmai o seppure. Interessante è l' alternativa piú colta e forbita: "qualora".
Notiamo che è impossibile costruire il periodo ipotetico "semplice" con la congiunzione "qualora", perché questa non si presta ad un linguaggio colloquiale. Sarebbe ridicolo scrivere: "qualora vi capita di visitare l' Italia, siamo contenti di ospitarvi". Obbligatorio è: "qualora vi capitasse di visitare l' Italia, saremmo lieti di ospitarvi".
Si può inoltre introdurre il periodo ipotetico ricorrendo a locuzioni come: nel caso in cui, nella misura in cui, a patto che, ammesso che o ammettendo che, nell' ipotesi che, ecc. Es.: " nel caso in cui fossimo tutti d' accordo, potremmo ritrovarci a cena", oppure: "ammesso che fossimo stati tutti d' accordo, avremmo potuto ritrovarci a cena".
Non spaventiamoci per la complessità delle frasi; cerchiamo piuttosto di cogliere ed apprezzare le sfumature del linguaggio !
Tutto vero, ma nozionistico : per esperienza chi non ha studiato la grammatica latina ed in particolare la "consecutio temporum" difficilmente riesce a districarsi con i congiuntivi ed i condizionali ....
#3
Inviato 07 October 2010 - 17:24:03
ERCOLIANI, su 7-Oct-2010 15:43, dice:
Tutto vero, ma nozionistico : per esperienza chi non ha studiato la grammatica latina ed in particolare la "consecutio temporum" difficilmente riesce a districarsi con i congiuntivi ed i condizionali ....
Hai ragione.
Ciò che si scrive, anche in questi interventi, è per forza di cose "nozionistico".
Ma esistono dei modi per imparare anche gli aspetti piú "raffinati" della lingua.
- Il primo è quello che sotto sotto suggerisci anche tu. E cioè: se queste eleganti costruzioni linguistiche ci appassionano tanto, perché non dedicare un' oretta di tempo allo studio della "consecutio temporum"?
Non è vietato consultare un manuale di grammatica latina; anzi è utilissimo per chi vuole approfondire lo studio dell' Italiano; ma è altrettanto utile anche a chi volesse capire a fondo il Romeno. Oltre tutto, può risultare piú facile di quanto si creda.
- L' altro metodo per imparare è quello di esercitarsi; affrontare il rischio di sbagliare e farsi correggere gli errori da persone veramente "affidabili": Occorre però fare attenzione, perché su questi argomenti, se si chiede in giro agli Italiani in generale, si sentono opinioni contrastanti e spesso sbagliate.
Ad ogni modo, piú di tutto vale ciò che fu coniato come motto dell' Accademia del Cimento: "provando e riprovando".
http://it.wikipedia....mia_del_Cimento
e se non piangi, di che pianger suoli?
#4
Inviato 12 January 2011 - 09:15:54
OT: che ne dici di scrivere in modo un pò più compatto...
io dopo due righe mi sono già stancata di leggere ...
MEMENTO AUDERE SEMPER
#6
Inviato 16 January 2011 - 11:31:01
giemme74, su 12-Jan-2011 21:12, dice:
che due
Bello Giemme !
Per fortuna ci sei tu a ravvivare la discussione. Grazie dell' aiuto!
Qualunque argomento è estremamente palloso, se non ti piace!
Se tu ami le auto da corsa, apprezzerai moltissimo una lunga trattazione che ti vada a sviscerare tutti i dettagli dell' ultimo modello Ferrari. Se la materia ti appasiona, sarai smanioso di sapere tutto sulle scanalature delle gomme, la durezza delle mescole, il nuovo disegno delle alette laterali, dei bocchettoni o delle sospensioni. Se poi vuoi approfondire l' argomento ti interesserà conoscere qual è il valore di coppia che sviluppa il nuovo motore. Tutte cose che ad altri magari fanno girare i maroni.
Questi miei interventi sulla lingua italiana sono fatti per chi ama la lingua italiana, ovviamente. Se sei tra i pochi a cui piace l' argomento, piú se ne parla e piú sei contento. Non pretendere di leggerlo tutto in fretta; ma caso mai lascialo da parte ed assapóratelo piacevolmente durante le vacanze; oppure alla sera, con calma, prima di addormentarti; cosí dopo farai dei sogni felici.
Qui si parla soltanto del periodo ipotetico. Immagina se avviassimo una discussione su come si forma l' endecasillabo nella poesia italiana...
e se non piangi, di che pianger suoli?
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