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Formia - Chisinau


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#11 bracciodiferro

bracciodiferro

    MI

  • Ambasadiani MI1e
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    Medaglie

Inviato 08 December 2006 - 11:58:56


per la sua particolare storia alcuni dei più ridenti comuni della riviera d'Ulisse non hanno nulla a che fare con la recente origine del capoluogo di provincia...

Gaeta, la perla del Tirreno
La città di Gaeta, situata al centro della "Riviera d'Ulisse", è uno splendido centro balneare di notevoli bellezze naturalistiche e paesaggistiche, con numerose testimonianze storiche, religiose e monumentali.

Le ipotesi sull'origine del nome sono diverse. Nell'Eneide, Virgilio, fa derivare il nome della cittadina, da "Caieta", nutrice di Enea, che morì in questo luogo. Secondo Strabone invece l'origine del nome deriverebbe da "Kaiàdas" (già usato da Tucidide) o "Kaiatas" e "Kaiètas", cavità, insenatura.

Collocato su un promontorio quasi interamente circondato dal mare c'è il "Parco regionale urbano di Monte Orlando" istituito dal 1986. Il mare adiacente è dichiarato "Oasi Blu" e pertanto viene gestito per scopi scientifici e didattici dal WWF.

Il resto della cittadina si snoda attraverso stradine di trama tipicamente medievale, un grande castello, monumenti di epoca romana, chiese storiche, e tante spiagge di incantevole bellezza.

Formia tra storia e leggenda

Il sorgere della vetusta ed incantevole città di Formia è tuttora avvolto nei veli della leggenda.

Questa, assai nota a poeti e dotti Greci e Latini, narra, al riguardo, che Formia era città e capitale dei Lestrigoni, un popolo di giganti pericolosamente astuti, dotati peraltro di una forza sovraumana. La ferocia inenarrabile dei Lestrigoni si caratterizzava prevalentemente con la temibile pratica, da sempre diffusa fra loro, dell'antropofagia.

Lo stesso Omero, nell'Odissea (X, versi 106-174), racconta il tragico episodio relativo all'approdo di Ulisse presso il terribile litorale.

Appena giunto in vista del luogo, infatti, l'eroe ordina a tre dei propri compagni di andare in esplorazione lungo le coste della terra appena raggiunta. Essi, una volta sbarcati, fanno la conoscenza, presso la fonte Artacia, della figlia di Antifate, il re.

La fanciulla, interrogata in merito al sovrano di quel luogo, addita loro la casa di suo padre: i compagni di Ulisse vi si recano e tosto inorridiscono alla vista di una donna enorme, che scoprono essere la regina. Prontamente richiamato dalla consorte, il gigantesco Antifate accorre ed afferra uno dei tre malcapitati, ormai destinato a diventare la sua cena: gli altri due fuggono precipitosamente, mentre in un batter d'occhio i Lestrigoni, già pronti all'assalto, distruggono le navi greche lanciandovi contro enormi pietre. In un tale, imprevisto frangente, l'unica nave a cui è possibile l'estrema ritirata è proprio quella di Ulisse, rimasta provvidenzialmente fuori dal porto.

La città dei barbari giganti della leggenda era chiamata appunto Lestrigonia, o anche Lamia da Lamo, suo fondatore, all'epoca della guerra di Troia (XII sec. a. C.).

Secondo altri autori antichi, il nome Lamia derivava invece da quello di una fanciulla libica che Giove, in occasione di una delle sue numerose infedeltà coniugali, aveva rapito e portato appunto sul lido formiano.

Ancora diversi secoli più tardi, quando la città era già nota con il nome di Formiae, scrittori e poeti Latini continuavano a fare riferimento alla sua presunta origine Lestrigone; è certamente il caso di Plinio il Vecchio, che nel I secolo dopo Cristo, scriveva: «Formiae, Hormiae prius dictae olim, sedes antiqua Lestrigonum» (ovvero: «Formiae, prima detta, un tempo, Hormiae, fu antica sede dei Lestrigoni»).

Questa leggenda, che colloca nell'ambito del litorale formiano mostri favolosi simili ai ben più noti Ciclopi, non trova in realtà alcuna conferma dal punto di vista geografico: la reale configurazione della costa formiana, infatti, non collima affatto con la configurazione del luogo che può essere desunto dai versi omerici.

Alla difficile questione legata alla dubbia possibilità di una reale identificazione di Formia con l'antica terra dei Lestrigoni, molti studiosi hanno dedicato, a suo tempo, una grande attenzione. Uno di essi, Victor Bérard, rifacendosi ancora una volta al testo dell'Odissea omerica, si mise meticolosamente alla ricerca lungo le coste del Mediterraneo di una terra che corrispondesse, nei dati geografici stessi, a quella indicata dal poeta quale sede dei Lestrigoni. Partendo dal significato del vocabolo greco lestrigon (ovvero «pietra delle tortore») e dall'etimologia del nome Artacia («fonte dell'Orsa»), il Bérard scoprì infatti che nelle Bocche di Bonifacio, tra Corsica e Sardegna, esiste un Capo che fin dall'antichità è detto «dell'Orso»: presso la località Parau, sempre nella zona, v'è poi una fonte e nel porto esiste uno scoglio detto «Colombo» (anticamente, Colombarium promontorium) per la grande quantità di uccelli marini, specie colombi, che vi nidificano. È in tale luogo che l'acuto studioso ravvisò l'omerica Lestrigonia.

Anche Ettore Romagnoli accettò la teoria di Bérard: tanto più che, collocata in tale luogo la mitica città di Lestrigonia, trova spiegazione anche il nome di Telepilo, ad essa attribuito, e cioè «Porta lontana» (per i Latini Fretum Gallicum). Resta tuttavia da chiarire il perché di un simile errore nella tradizione leggendaria legata alla città di Formia.

Al riguardo il Pais ricorda che, nel sec. VII a. C., ma con ogni buona probabilità anche in epoca di gran lunga precedente ad esso, i Greci di regola non si avventuravano mai a navigare lungo le coste di Aurunci, Ausoni, Volsci e Latini, ritenendole luoghi pericolosi. Questa ripugnanza dei Greci, che identificavano Lestrigonia con il territorio formiano, fece pure nascere il mito di Circe su un promontorio non lontano da Formia.

Un'altra antica leggenda meno cruenta delle precedenti collega invece il nome di Caieta (la città di Gaeta, che anticamente era un porto formiano) alla venuta dell'eroe omerico e virgiliano Enea: di nuovo, cioè, al contesto della guerra d'Ilio.

Si narrava, infatti, che Caieta, nutrice di Enea, capo dei Troiani scampati alla presa di Troia ed approdati nella località, vi fosse morta e quindi vi fosse stata sepolta pietosamente: di qui il nome del posto (Virgilio-Eneide, VII, versi 1-7).

Senza contare che, per certi autori Latini (contrariamente a quanto afferma Virgilio stesso, nel libro V dell'Eneide) avvenne presso Caieta anche l'episodio delle donne Troiane che, stanche del lungo peregrinare, tentarono di distruggere con il fuoco le navi.

La leggenda del nome Caieta derivato dalla nutrice di Enea era, del resto, già contestata ai tempi di Virgilio: infatti Strabone, geografo greco del I sec. a. C., faceva risalire tale appellativo al vocabolo greco Kaiadas, cioè «cavità», allusione evidente al porto. Lo storico Diodoro Siculo, vissuto nel I sec. d. C., indicava invece il luogo soltanto con il nome di «Porto Formiano».

Usi e costumi dei formiani all'epoca della fondazione della città


Le notizie relative alla città di Formia ai tempi della sua nascita risultano essere assai vaghe. È probabile che il suo territorio, oltre a comprendere Caieta, si estendesse parzialmente anche sui vicini monti Aurunci, arrivando al confine della città ausona Minturnae, prima del Garigliano.

A Formia, in quanto città sul mare, prevaleva l'attività della pesca e del piccolo trasporto marittimo lungo la costa.

Le divinità di Formiae erano dunque, con ogni certezza, quelle comuni alle città vicine, e consistevano in personificazioni delle forze della natura o del lavoro: nell'epoca romana, queste assunsero i nomi delle corrispondenti divinità romane.

Il mare (Nettuno, corrispondente al Poseidone delle città di origine greca), era palesemente la principale divinità formiana, ed era particolarmente onorato dai cittadini, che vivevano quasi esclusivamente di pesca. Le procelle erano, di conseguenza, considerate un castigo divino.

Leggende lestrigonie a parte, si narra che gli antichi formiani fossero un popolo fiero e forte. Dionigi di Alicarnasso, storico dell'epoca di Augusto, li definì «aspectu multum ferini, acritate terribilissimi» («di aspetto assai fiero e molto terribili per il coraggio»): questa fierezza andò ovviamente con il tempo scemando.

Man mano che i rapporti di commercio e vicinato tra Formia e paesi limitrofi si fecero più frequenti e sicuri, dal baratto si passò alla compravendita, basata sulla reciproca buonafede.

Non ugualmente buoni erano i rapporti dei formiani con popoli più lontani geograficamente o di altra stirpe: tuttavia, la comune presenza nelle feste e nelle fiere, che si andavano in quel tempo istituendo, unite al reciproco interesse commerciale, soppressero presto ogni forma di xenofobia e prevenzione.

Politicamente, in questa prima epoca, non sembra che Formia abbia fatto parte di alcuna lega o confederazione di città ausone: se pure avvenne, il vincolo fu più un ricordo della comune origine che un'impegnativa alleanza.

La città ebbe piena autonomia, sul modello delle altre città ausone: magistrati annuali, in seguito chiamati Aediles («Edili») l'amministravano, assistiti da un consesso di Anziani.

La famiglia aveva origine dal matrimonio: questo, in un primo tempo, avveniva in seguito al ratto della fanciulla; poi, a costumi ingentiliti, per compera fattane presso il padre di lei. Sposa e figli erano infatti completamente sottomessi all'autorità del padre.

Vigevano inoltre a Formia la schiavitù, la legge del taglione e la repressione violenta di alcuni reati, ma anche la composizione pacifica, in denaro, di ingiurie o danni.

I morti, onorati in un primo tempo con le forme d'uso, vennero poi costantemente cremati: l'inumazione, tuttavia, continuava ad essere permessa.

Circa la lingua parlata dagli antichi formiani, essa inizialmente deve essere stata quella in uso presso gli Ausoni.

Allorché, però, la città fu compresa nello stato dei Volsci, quella lingua andò modificandosi, per poi essere sostituita definitivamente dal Volscio, una certa forma dell'Osco, lingua parlata generalmente in Campania.
Dalla guerra contro i pirati all'annessione allo Stato dei Volsci


A causa della sua ubicazione marittima, la città di Formia dovette difendersi, fin dai tempi più antichi, dai nemici provenienti dal mare, che fossero essi pirati o semplicemente marinai provenienti da paesi limitrofi ed ostili. Un popolo, per inciso, poteva all'epoca essere considerato ostile ogni qual volta non preesistessero accordi con esso. Di conseguenza, i primi secoli di vita della città furono caratterizzati da una situazione dura e di perenne allarme.

Il mar Tirreno - che prende il nome dai Tirreni, il popolo che noi oggi conosciamo prevalentemente con il nome di «Etruschi» - era all'epoca oggetto di aspre contese tra i Tirreni stessi - detentori dell'antica egemonia - e i popoli intervenuti successivamente a limitarla: su tutti, i Greci e i Fenici del ramo «cartaginese». Ben presto, tuttavia, l'alleanza contratta tra i primi e gli ultimi a danno dei Greci portò a un inasprimento dei contrasti e quindi a una guerra aperta, fermo restando che le navi dell'uno o dell'altro schieramento dovettero necessariamente presentarsi in più di un'occasione nelle acque antistanti la città di Formia, recendo di volta in volta richieste o minacce.

Gli Etruschi, sconfitti in una sanguinosa battaglia navale nei pressi di Cuma, persero il predominio marittimo a partire dal 474 a.C., senza che la fine del conflitto avesse però influito minimamente sull'attività dei molteplici pirati che infestavano le coste del Tirreno, costituendo un pericolo costante per ogni città arroccata sul mare dalla Sicilia in su, quindi anche per la colonia formiana. La minaccia piratesca si protrasse fino al IV° secolo a.C., tanto che lo storico Tito Livio, nella sua Storia di Roma (VII, XXV), narra l'incursione avvenuta nel 349 a.C. sulle coste latine a volsce, ad opera di una banda di predatori di origini greche. I pirati, secondo quanto riferito da Livio, una volta scesi sulla costa dovettero confrontarsi immediatamente con un altro gruppo di predoni provenienti dalla Gallia, che era sbarcato non lontano. Nello scontro che ne seguì, sia i Galli che i Greci - rimasti soli a fronteggiare i reparti romani che avanzavano a difesa - dovettero ritirarsi celermente.

Non farà meraviglia, dunque, in considerazione di un simile stato di cose, la propensione dei formiani a fortificare la città: Formia era munita infatti, oltre che di una salda acropoli, anche di una poderosa cinta megalitica (ossia «di grandi pietre») destinata alla difesa nei confronti di ogni tipo di nemico proveniente dal mare. Le mura di cinta, che avevano la forma di un triangolo dalle dimensioni irregolari, andavano dalla foce del Rio Alto fino alla zona detta «Sarinola»: l'acropoli formiana corrispondeva invece all'attuale quartiere di Castellone.

Delle mura, rinforzate o riparate a più riprese in epoca romana, restano ancora oggi notevoli brani: esse non riuscirono, tuttavia, ad evitare la presa della città da parte dei Volsci, un popolo di origine umbro-sabellica (ramo degli «Osci») che relegò inevitabilmente Formia nella sua orbita. I Volsci, che nel VII e VI sec. a.C. dilagarono nel Lazio e nell'Agro Pontino, arrivarono - nel periodo di massima espansione - a estendere il loro dominio da Antium (l'odierna Anzio) fino alla città di Minturnae (l'odierna Minturno). Oltre alla Capitale, Anxur - meglio nota come Tarracina (oggi Terracina) - altre città importanti incluse nel domino dei Volsci furono Ecetra (la cui moderna ubicazione non è ben chiara), Setia (Sezze), Suessa (Sessa Aurunca), Pometia (Pomezia), Velitrae (Velletri), Cora (Cori), Privernum (Priverno). Sia Formiae (Formia) che l'altra città ausona di Fundi (Fondi), sembrarono invece sfuggire in un primo momento all'orbita politica dello Stato Volscio: in seguito, probabilmente per mezzo di patteggiamenti, più che di un vero e proprio assogettamento militare, i Volsci riuscirono ad annettere definitivamente entrambe.

Comune di Terracina
Terracina ha conservato delle straordinarie testimonianze della sua storia .
La città è sovrastata dal Tempio di Giove Anxur da cui si vede tutto l'arcipelago delle isole pontine e ha un centro storico ricco di costruzioni di epoche diverse. La città nuova si è poi sviluppata attorno al settecentesco Borgo Pio e si è andata successivamente distendosi lungo lo spazioso arenile di fronte al mare.   Il vasto territorio naturale di Terracina, quello costiero, quello di pianura e soprattutto, quello collinare dei Monti Ausoni, conserva ancora molta parte di quella bellezza paesaggistica originaria; inoltrandosi per qualche chilometro si possono raggiungere la valle collinare di Campo Soriano e la Madonnina di Monte Leano che si affaccia sulla pianura pontina.  
Terracina è ricca di tradizioni popolari, come le feste del patrono, S. Cesareo quella di S. Silviano e dell'Assunta oppure quella scenografica della Madonna del Carmelo con la spettacolare processione a Mare.  
Rinomati sono i suoi vini: il Moscato di Terracina, vino ad Indicazione Geografica Tipica (Igp), il Casanese e l'Aleatico. Interessante è anche la larga coltivazione degli ortaggi e della frutta in serra, grazie alla fertilità della terra.
  

Il suo porto marittimo, di fronte al centro storico è collegato con Ponza e Ventotene da motonavi che effettuano servizio per tutto l'arco dell'anno. Esso è stato costruito dall'imperatore Traiano ed è collegato alla serie di canali che attraversano la citta bassa e il territorio pianeggiante.Nello stesso porto risiede un numero discreto di pescherecci che ogni giorno alimentano i mercati cittadini di pesce fresco per la delizia del consumo locale.
Testimonianze di una terra amata e vissuta nei tempi sono sparse ovunque, molte delle quali ancora da scoprire, dal segno lasciato dai romani sulla roccia intagliata per par passare la strada costiera al selciato in pietra della piazza del Municipio. Molti dei reperti sono conservati nel museo cittadino custodito nella Torre dei Rosa, il resto è a diposizione del turista come in un museo aperto e diffuso!





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