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Eutanasia pro o contra?


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Questa discussione ha avuto 23 risposte

Sondaggio: Decidere di Morirre (10 utenti che hanno votato)

Voi Personalemente sieti favorevoli all'EUTANASIA?

  1. Si, in alcuni casi (7 voti [70.00%])

    Percentuale di voti: 70.00%

  2. No (2 voti [20.00%])

    Percentuale di voti: 20.00%

  3. Non so (1 voti [10.00%])

    Percentuale di voti: 10.00%

Se dovete scegliere di morirre

  1. Eutanasia (1 voti [10.00%])

    Percentuale di voti: 10.00%

  2. Testamento biologico (2 voti [20.00%])

    Percentuale di voti: 20.00%

  3. Suicidio assistitto (0 voti [0.00%])

    Percentuale di voti: 0.00%

  4. Voglio vivere comunque (3 voti [30.00%])

    Percentuale di voti: 30.00%

  5. Non lo so (4 voti [40.00%])

    Percentuale di voti: 40.00%

Voto Gli ospiti non possono votare

#21 Guest_Intense_*

Guest_Intense_*
  • Ospite

Inviato 07 October 2006 - 20:43:24


se per esempio il malato che li sei vicino in quell momento non puo esprimere la sua volonta...non puo parlare e ne scrivere....devi decidere tu per lui....senza sapere quello che vuole lui.... ma quello che vuoi te.

se papa non averebbe potutto esprimere di voler rimanere sul suo leto e morire sarebbe portato al ospedale.. e forse sarebbe morto li o pure no... forse avrebbe visuto tramite le machinarie per altri mesi....tenuto in vita solo dai machinari....


#22 giuseppe

giuseppe

    Nb

  • Ambasadiani MI1a
  • Stella
  • Messaggi: 15

    Medaglie

Inviato 09 October 2006 - 00:24:46


Visualizza messaggioclaudia, su 7-Oct-2006 21:32, dice:

Flavio ha ragione, secondo me, quando dice che noi questa vita bbiamo deciso di viverla e dobbiamo farlo fino in fondo.

Tuttavia quello che pensa il singolo va, come dire, coordinato con gli altri.

Sono sempre volontà a confronto, e spesso ognuna con buone ragioni.

D'altra parte noi oggi disutiamo se taluno ha diritto di morire o, in assenza di volontà del malato, di far morire.

Invertiamo il problema.... ammettiamo che si possa decidere di voler morire... obblighiamo persone a violare il proprio diritto di non voler "uccidere" (o prenderemo solo piu' medici favorevoli?)

Non è un problema di facile soluzione anche perchè non è puramente di diritto, ma ASSOLUTAMENTE di pietà umana: e quest'ultima non ha regole se non , ad un certo punto, non farcela piu' a sopportare una sofferenza o una "non vita"; non farcela piu' a sopportare la sofferenza o la "non vita" di una persona che si ama.

Il Papa, il Papa, secondo me (tralasciando qualsiasi discussione sulla politica della Chiesa) ha scelto l'unica soluzione intermedia possibile (senza violare diritti propri o di altri).....: ha rispettato la sua convinzione di aver diritto a morire, senza drasi la morte, senza obbligare nessuno a "dare" la morte, rifiutando un accanimento terapeutico che avrebbe protratto una sofferenza destinata COMUNQUE a precedere di poco e senza possibilità di migloramenti futuri, la morte.

Ecco io la penso come lui.....  percio' opterei per il non accanimento terapeutico richiesto dal malato in grado di decidere o, se mai, con testamento biologico...... ma tutto questo con un unico dubbio:
non mi ci sono mai trovata... nè a dover decidere per me e, grazie a Dio, tanto meno per gli altri.

Carissima, hai molte ragioni, anche perchè siamo veramente sicuri di essere in grado di decidere, oggi, che cosa vorremmo quando e se verrà quel domani?

Nell'antichità, in tutte quelle battaglie a fil di spada, il colpo di grazia lo si invocava, da parte dei feriti a morte, ed era quasi un dovere anche da parte del più acerrimo nemico.
Oggi dovrebbero essere i medici, in un modo dolce (eutanasia), a porre fine ad un calvario che nulla aggiunge alla bellezza della vita.


#23 Guest_Intense_*

Guest_Intense_*
  • Ospite

Inviato 09 October 2006 - 09:00:48


Visualizza messaggiogiuseppe, su 9-Oct-2006 01:24, dice:

Carissima, hai molte ragioni, anche perchè siamo veramente sicuri di essere in grado di decidere, oggi, che cosa vorremmo quando e se verrà quel domani?

Nell'antichità, in tutte quelle battaglie a fil di spada, il colpo di grazia lo si invocava, da parte dei feriti a morte, ed era quasi un dovere anche da parte del più acerrimo nemico.
Oggi dovrebbero essere i medici, in un modo dolce (eutanasia), a porre fine ad un calvario che nulla aggiunge alla bellezza della vita.
sono totalmente d'acordo con te


#24 Guest_Intense_*

Guest_Intense_*
  • Ospite

Inviato 17 October 2006 - 08:16:22


Staccai la spina per lasciar morire un amico
Il fondatore del San Raffaele: «Era cattolico, me lo chiese lui. Così non è eutanasia ma un atto d'amore, un gesto cristiano»


MILANO — «Ricordo un amico, un medico, ci conoscevamo da anni. Lo abbiamo curato perfino con esasperazione perché non lo volevamo perdere. Stava attaccato a un respiratore artificiale, altrimenti sarebbe morto, era la metà degli anni Settanta e già allora la tecnica dava queste possibilità. Parlavamo ogni giorno e una volta, lo sguardo fermo, mi ha detto: io non posso più vivere senza questo respiratore, perciò ti prego, staccami».
E lei, don Verzé, cosa fece?
«Era molto presto, le sette del mattino. Piangendo dal cuore dissi: staccatelo». Don Luigi Verzé, 86 anni, fondatore dell'ospedale, del centro ricerche e dell'Università San Raffaele, indica il grande Crocifisso ligneo del Trecento che domina il suo studio: «Lo hanno fatto morire, certo. Ma Lui poteva scendere dalla Croce e invece si è lasciato morire: per amore».
L'eutanasia è una di queste?
«Per come se ne discute, spesso è un falso problema: diverso è "lasciar" morire e "fare" morire. Tenere in vita una persona a tutti costi è ostinazione, non conservazione della vita. Se una persona vive così, solo grazie alle macchine, e chiede lucidamente di essere staccata, io credo che farlo possa essere un atto d'amore, un gesto cristiano. Non è eutanasia. È essenziale anche l'atteggiamento del medico».
In che senso?
«Il mio amico era lucido. Un sant'uomo, cattolico. A me ha inflitto un grandissimo dolore, però non me la sono sentita di non dire: basta. Ero consapevole dell'impotenza mia e della scienza. Ecco: un conto è riconoscere la propria ignoranza come medici; un altro è arrogarsi il diritto di decidere quando uno deve morire. Penso a quando non appare la coscienza, come nel caso Terry Schiavo: non ho diritto di lasciar morire una persona che non può esprimersi».
E il testamento biologico?
«Non posso accettarlo perché di fatto viene dettato dal medico. Questo è l'errore, lo spiegherò al mio amico Veronesi. Del resto nessuno può mettersi nei panni di se stesso quando si dovesse ammalare né sapere come reagirebbe alla sofferenza, è un atto di superbia. E poi cosa ne sappiamo di dove sarà la scienza in futuro?» Quindi come si fa?
Pensiamo al caso Welby...
«Non conosco il caso di Welby. Dipende dalla persona: temo sia impossibile definire una legge su questi casi, una sorta di prepotenza. Difficile è anche stabilire cos'è l'accanimento terapeutico: siamo nella "zona grigia". Allora bisogna educare la gente alla responsabilità».
Ovvero?
«Al San Raffaele ci confrontiamo ogni giorno con i limiti, li tocchiamo. La Chiesa fa benissimo a porli e a difendere la vita, sia chiaro. E io odio la morte, non riesco neanche ad ammazzare una mosca. Però non fisso mai dei limiti ai ricercatori: chiedo loro di essere responsabili. Se uno vuole sperimentare sugli embrioni gli dico: attento a non ucciderlo. Chiedo di calcolare i rischi con saggezza. I limiti sfumano, all'inizio molti pazienti sono morti dopo i trapianti e la Chiesa era contraria, ma oggi le cose sono cambiate».
Ma cosa vuol dire «essere responsabili»?
«Questo è il senso del corso "Medicina Sacerdozio". Nessuno è sacerdote se non è medico, nessuno è medico se non è sacerdote. Ci siamo posti come programma lo studio di che cosa è l'uomo per arrivare a rispondere alla domanda: chi è l'uomo? La svolta è prendere in cura l'uomo come quella sintesi di corpo, intelletto e spirito che fa di lui in ogni caso, anche il più miserabile, l'immagine di Dio. Ma per questo bisogna che le culture dialoghino, la cultura è la sola superpotenza: non a caso il San Raffaele comprende un polo umanistico e uno scientifico».
Cosa manca oggi?
«Lo studio, un'educazione al senso della sofferenza e della morte. Parliamone in maniera laica: morire con dignità è una dimostrazione di come si è vissuti. Ma tutto questo è frutto di una educazione. Una resa alla propria morte può essere anche un abbandonarsi alla volontà e all'amore di Dio. Io spero che il mio morire sia così: un abbraccio fisico con Dio. Penso a una signora anziana, distinta, che soffriva da tempo nel proprio letto e continuava a ripetere: "Oh Signore fammi morire..". Poi mi guardò e disse: "Dì al Signore che mi prenda, io non riesco a morire"».
E cosa accadde?
«Una persona che era accanto a me si avvicinò, le diede una carezza, e la signora morì. Si è spenta così, in quell'istante: aspettava un atto d'amore».
Gian Guido Vecchi
13 ottobre 2006- Corriere della sera.





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